(Vertigo) Arriviamo tardi. Tardissimo. Un po’ perché sono state scritte e dette fin troppe parole. E noi le abbiamo lasciate correre. Un po’ perché si parla di una band essenziale, reunion o meno che sia, e noi di Metalhead ci siamo presi il nostro tempo. Crediamo non abbia più alcun senso discutere sul senso o meno di questo album, sull’originalità o meno della line up, su Bill Ward o Brad Wilk. Dopo tutto nella musica esiste una sola unica regola: l’emozione. Un album piace solo se sa emozionare. Non importa se è scritto e suonato da una band ingenua agli esordi (come lo furono i Black Sabbath nel 1970), o da una band di rockers vissuti che per motivi che non interessano davvero a nessuno, decidono di fare un altro album assieme. “13” è un evento. C’è poco da discutere. Gente come Ozzy, Tony e Geezer sono leggende viventi. Sono leggende che hanno segnato un’epoca, creato uno stile, un esempio. Un mito. Loro non imitano, loro sono quelli che vengono tuttora imitati. Pertanto quando sento dire cose come “sono vecchi”, “che vadano in pensione”, “ma perché si riuniscono”, “non hanno nulla di nuovo da dire”, io rimango con l’amaro in bocca. E’ come rinnegare un passato glorioso, senza il quale forse non saremmo mai arrivati fino a questo punto. Ma alla fine è un po’ la spietata regola dello show business: quando ti va bene, sei un dio, quando ti va male ti succede la cosa peggiore: cadi nell’oblio. Nel mezzo c’è un po’ di tutto, sputi, ed insulti inclusi. Ci sono i fedeli, ci sono i detrattori, c’è una orda di gente che dice di tutto. Una massa di menti pensanti che esprimono una opinione, ma la vera forza di una Band (maiuscolo) come questa è far parlare di se. Sempre e comunque. Il rock è per le masse, lo vediamo ai concerti, lo vediamo con le affluenze che questi pensionati senza nulla da dire riescono ad generare, lo vediamo con i numeri di vendita, lo vediamo con le impressionanti posizioni in classifica che sono riusciti a raggiungere (anche in Italia). Quindi è palese: i numeri danno loro ragione. E a chi si chiede il perché della reunion, la risposta la danno ancora in numeri: 19 album, dei quali 9 con Ozzy. Chi è, dunque, il vero front man di questa band? Certo, ci sono stati i tempi di Dio, Ian Gillan, Glenn Hughes, Tony Martin, ma rimane Ozzy il front man definitivo dei Black Sabbath e del suo genere musicale caratteristico e simbolico. Quindi è più che lecito che “prima della pensione” questi “ragazzi” regalino al mondo qualcosa di inedito. Qualcosa che ricordi a tutti e tutto chi sono loro e cosa sanno fare. “13” è di fatto un album dei Black Sabbath con Ozzy Osbourne: ne più ne meno. Certo, i tempi sono diversi, ma il sound è quello. Forse manca lo spirito dell’epoca, ma questo è ovvio: l’arte è un’espressione di spazio, tempo e condizioni; Nel 2013 non siamo negli anni 70, non siamo in un borgo in Inghilterra, non c’è più l’ingenuità della gioventù, non ci sono più i viaggi psichedelici sulla scia di quantitativi di droghe imponenti. Ma il sound è il loro. Solo con oltre 40 anni di esperienza in più. C’è la sublime chitarra di Iommi. C’è la voce demente di Ozzy. C’è il basso fantastico di Geezer. E ci sono pezzi che potranno anche essere visti come delle versioni moderne di quelli storici, ma titoli come “God Is Dead?”, “Zeitgeist”, “Damaged Soul” (con un Iommi superbo!) sono dei classici istantanei. E per coloro che puntano alla versione Deluxe (quella che abbiamo ascoltato noi), le tre canzoni extra sono veramente belle (un peccato che non siano incluse nella versione standard!). Su “13” ci sono canzoni di una certa durata, c’è della musica elaborata da scoprire, da percepire, da gustare. L’album non è immediato, e magari al primo ascolto non rivela molto. Ma dietro a queste canzoni c’è un livello assoluto di esperienza, di conoscenza, di storia. C’è saggezza musicale. E ammettiamolo: nel bene e nel male loro sono il massimo. Loro sono l’esempio trainante, mentre il resto si ferma, li guarda, e poi decide se e cosa fare.
(Luca Zakk) Voto: 8/10
(Vertigo) Si riuniscono tutti e ormai da tempo. Reunion a pioggia e ormai da anni. Conviene farlo, vuoi perché è un evento, vuoi perché te lo chiedono, vuoi perché ci sono sempre dei nostalgici sempre pronti a celebrarti…vuoi perché i soldi fanno sempre comodo! Il mio cinismo non è fuori luogo e nemmeno “poco professionale” (come qualcuno in redazione mi ha detto), ma chiediamoci prima perché i Black Sabbath ritornano con un album. Soldi, pecunia, danaro. Lo stesso motivo per il quale Bill Ward alla fine è rimasto fuori, sostituito da Brad Wilk dei Rage Against The Machine. Un conseguente tour che va a celebrarsi in giro, con Iommi che combatte contro il cancro e salta qualche data, ma i Blacks intanto continuano ad onorare i contratti dei concerti, tranne quello italiano, annullato da un mail e con biglietti che erano quasi in via di esaurimento. Mi spiegassero come si organizza un concerto in Italia, su quali basi e garanzie e su quale commercio si svolge la vendita dei biglietti (spesso sempre e solo attraverso i soliti canali). Detto ciò, “13” è un album dei Black Sabbath in tutto e per tutto. C’è la voce di Ozzy, il basso di Butler ha meno densità ma una liscia pulizia, mentre Wilk sembra uno che suona nella band da dieci anni, tanto è ben inserito nel suo ruolo all’interno dei pezzi. Iommi è di casa, come sempre. Il tocco e la cadenza dei suoi riff sono unici e riconosco che è sottilmente piacevole sentirli suonare da lui e non da uno dei tanti chitarristi sparsi per il mondo e che si rifanno a lui da decenni e decenni, bene o male che ci riescano. Sabbathiani di tutto il mondo, “13” non vi può deludere. Forse. “End of the Beginning” apre l’album con un’atmosfera stile “Black Sabbath” (la canzone), un gioco di specchi che richiama un clima meravigliosamente torbido e che tutti noi riconosciamo, sentiamo nostro. Sono 8’ poderosi che sfociano in una coda finale che ricorda l’epopea “Technical Ecstasy” ma anche l’Osbourne solista. “God Is Dead?” è la più macabra esaltazione della scuola Iommi. Il brano è stato anticipato per l’uscita dell’album e tutti penso lo avranno ascoltato. Senza malizia, ma è il tipico specchietto per le allodole, solo che anziché essere grossolano, il pezzo possiede un’immediatezza e quel senso di appartenenza alla tradizione sabbathiana che non può non piacere. Seguono canzoni dall’ossatura canonica, doom nella vera matrice inventata dalla band e che ha fatto scuola. Decadenza e polvere, ragnatele e candele che brillano. Oscurità ovunque. Non mancano momenti intimisti, acustici, “Zeitgeist” (in puro e smaccato stile “Planet Caravan”), e un minutaggio in fin dei conti molto elevato per buona parte delle otto canzoni. Ci sono degli assoli di Iommi scintillanti ed anche evoluti rispetto a quanto si è sempre sentito da lui, come il falso tocco sporco e blues in “Damaged Soul”. Lo scorrere di questa tredicesima dimensione passa placidamente, come cullati da note che da sempre si conoscono e con le quali si entra in sintonia. In risonanza. Eppure dei cali ci sono, si sentono. Stereotipata “Live Forever”, lunga scomposta e slegata nelle sue parti “Age of Reason”. Produce Rick Rubin che confeziona il tutto con trasparenza, per accertarsi che qualsiasi cosa venga espressa in questo ritorno voluto e calcolato dai tre Inglesi. Si di calcolo ce n’è e non poco, lo avete letto nelle righe, e credo che “13” lo sveli come svela la maestria dei musicisti nel suonarlo. Un fan dei Black Sabbath non dovrebbe comunque ignorare l’album, il quale presenta anche altre due versioni, “deluxe” ed “iTunes”, con materiale aggiuntivo, nel caso quella standard non vi basti.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10