(AFM Records) Carriera assai singolare, quella degli svedesi Bloodbound: band che seguo dagli inizi con un misto di amore e odio. I nostri partirono benissimo con “Nosferatu” (2006), un misto di NWOBHM e power scandinavo che convinceva al primo ascolto; ma da quel momento, hanno praticamente inanellato un passo falso dopo l’altro, e si sono incredibilmente affannati a cambiare sé stessi a ogni uscita, dimostrando, se non la cieca volontà di seguire la moda del momento, quantomeno una scarsa personalità. Se “Book of the Dead” (2007) era ancora un onesto power metal, “Tabula Rasa” (2009) si rivelò un concentrato di banalità power/thrash; la svolta hard rock di “Unholy Cross” (2011) mi ha lasciato del tutto indifferente, mentre l’ultimo “In the Name of Metal” (2012, recensito QUI) era così scontato da non meritare alcuna attenzione. Con il sesto full-“length” in otto anni, i nostri tornano parzialmente sui propri passi, sfoderando di nuovo un power metal squillante e rotondo, ma l’originalità latita non poco… vediamo perché. “Satanic Panic” offre, con buona attitudine, un heavy/power pompato e potente, che prende le cose classiche alla Judas Priest e le mescola al sound tedesco di Paragon, Mystic Prophecy e compagnia. “Iron Throne” guarda chiaramente ai Sabaton e ai loro ritornelli boombastici, mentre “Nightmares from the Grave” recupera la lezione dei Grave Digger così come è stata intesa dagli Iron Fire o dagli Orden Ogan. Il massimo della ‘sabatonizzazione’ si raggiunge con la titletrack, che richiama fin troppo scopertamente le atmosfere di “Primo Victoria”, ma anche “When the Kingdom will fall” sembra provenire dalle session di “Carolus Rex”. Se “We raise the Dead” è gustosa nella sua canonicità, “Made of Steel” è invece il fin troppo classico inno al metallo fatto e rifatto migliaia di volte… La conclusiva “When all Lights fall” vira invece verso soluzioni alla Edguy. Insomma, potete ben vedere che i Bloodbound citano, ammiccano, rimescolano e alla fine il risultato è anche godibile… ma sembra studiato a tavolino, e in modo abbastanza scoperto, nel seguire un po’ scopiazzando i trend del giorno. La bocciatura non c’è perché molti brani sono catchy e ficcanti, ma per fare un buon disco secondo me serve qualcos’altro.
(René Urkus) Voto: 6/10