(Fog Foundation) Mi trovo proprio a Matera, patria del polistrumentista Drakhen, mentre rifinisco la mia recensione di “The Battle will never end”, il secondo disco della one-man-band Bloodshed Walhalla. Una formazione che mi sta simpatica per tanti motivi: perché suona puro viking metal in Italia, e anzi in Sud Italia, cosa ancora più rara; perché è fedele in modo quasi ossessivo al verbo bathoryano; e soprattutto perché Drakhen ha una capacità quasi ‘naturale’ nel creare la melodia giusta, il passaggio ultraepico, il fraseggio guerresco, tutti elementi che appagano la mia ricerca di quelle sensazioni battagliere e senza tempo che pochissime altre band riescono a evocare. Certo, anche per questo secondo disco la produzione ha qualche pecca, e i fanatici del genere potrebbero avere talora l’impressione del ‘già sentito’, ma il risultato finale vale comunque l’impegno profuso dal musicista e l’acquisto da parte dell’ascoltatore. L’intro “Heimdallr” procede su toni combattivi per circa quattro minuti, per poi trasformarsi in un soffice tono di synth che è preludio alla successiva “Blood and Fire”: titolo bathoryano per un brano di quasi dieci minuti che – naturalmente! – più Bathory non si può, dotato di una epicità che si taglia col coltello, ma non esente da una certa positiva dinamicità. L’unico problema, proprio anche del disco precedente, “The Legends of a Viking”, è il suono della drum machine, abbastanza secco e sintetico. La titletrack (altri dieci minuti… sì, la durata conta nel costruire queste atmosfere!) porta ancora oltre, verso i paesaggi innevati e gelidi di una Scandinavia così lontana, dove ‘la battaglia non finisce mai’ e i veri guerrieri combattono per sempre; martellante “Land of Fire”, ma il vero capolavoro del disco è “The Storm”, con la sua indovinatissima linea melodica. Per chi non si è mai rassegnato alla morte di Quorthon, questo disco può rappresentare una medicina efficace!
(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10