(Comatose Music) Death metal. Di un’altra epoca. Da un solo uomo. Per dieci canzoni. Death puro, senza fronzoli. Peter Hasselbrack, mente perversa, musicista poliedrico, voce infernale. Terzo album, fine della speranza, violenza senza pietà, devastazione, terrore. Un death metal che suona opprimente, senza le asettichetecnologie moderne le quali spesso attenuano il colpo, attenuano il dolore. Roba per intenditori, roba per death metallers che sanno di cosa si parla quando vengono citati nomi come Death, Pestilence ed Obituary. Dubbi? Colpo finale dopo la raffica devastante: due assoli suonati da James Murphy che appare come ospite nell’album. Ora i dubbi sono scomparsi. Chitarre tipo mitragliatrice, 6000 colpi al minuto. Batteria malata. Voce marcia, animale rabbioso che squarta la preda, sangue che scorre a fiumi. Testi? Morte, marciume, blasfemie, odio, budella che scivolano fuori da cadaveri mutilati senza un dio, senza un demone. Ovviamente. Per coloro, come chi scrive, che appartengono ad una epoca dove il face painting apparteneva solo ai Kiss, dove l’immagine di una band significava avere una rappresentazione della morte in copertina, dove lo stage era composto da un muro di Marshalls con alcuni tizi dai jeans dilaniati ed aderenti che si dimenavano al ritmo dei trentaduesimi di un metronomo sparato a 400bpm. Questo è vero death metal. Se tu, che leggi, non sai riconoscerti nella descrizione di cui sopra, allora faresti meglio ad ascoltare questo disco. Lezione di storia. Esame finale. Una storia violenta, sanguinolenta, mortale.
(Luca Zakk) Voto: 8/10