(Nuclear Blast Records) Ogni tanto fa bene staccare dai propri ascolti abituali: e nella selva dei miei dischi, quasi tutti power, epic, viking e classic metal, scelgo per una serata di relax i miei primissimi amori di quattordicenne, il rock anni ’70, i Led Zeppelin, i Doors e i Wishbone Ash. Anche nella selva (ben più grande e caotica) dei dischi da recensire mi piace selezionare, talora, qualcosa di eterogeneo: e così oggi mi occupo dei Blues Pills, la new sensation del rock vintage che una sempre lungimirante Nuclear Blast ha messo sotto contratto, seguendo la buona intuizione avuta con The Vintage Caravan. E posso mai dire che il colosso tedesco si sia sbagliato? L’incantesimo costruito dalla band funziona alla perfezione, ed eccovi subito catapultati nel 1969 sui prati di Woodstock; va detto, però, che parte del materiale era già apparso negli ep precedenti. La opener “High Class Woman”, il suo basso pulsante e il suo break psichedelico, mi ricorda quasi inevitabilmente i Jefferson Airplane, anche per il cantato erotico che accomuna Grace Slick e Elin Larsson. “Ain’t no Change” ha una chitarra hendrixiana, mentre “Jupiter” sembra essere stata scritta a metà degli anni ’70, piena com’è di quei suoni di chitarra slappati e caratteristici, ad esempio, di “Houses of the Holy” degli Zeppelin. “Black Smoke” inganna con la sua partenza da ballad soul, perché è un altro up-tempo vagamente psichedelico; “No Hope left for me” è un blues quasi puro, che solleva fumo e malinconia. Mirabile la progressione di “Devil Man”, poi con la tristezza sottile di “Little Sun” si chiude un disco che non riscrive certo la storia, ma è curato nei dettagli e raggiunge ottimamente i propri scopi.
(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10