(Heavy Psych Sounds Records) Sette pezzi per poco meno di un’ora di opulento sludge-stoner della formazione di Madison nel Wisconsin. Dal 1995 i Bongzilla si fanno promotori per la legalizzazione della marijuana, tematica spesso determinante nell’attitudine di band di questo tipo. Bongzilla è una band spontaneamente abile a lanciarsi in cavalcate nelle quali suonano con pesantezza e un’imponente e solida maestosità. Da quasi tre anni Cooter Brown ha lasciato la band e così i Bongzilla restano in tre e con qualche progetto collaterale che “Dab City” prova come questa attività non abbia destabilizzato l’attitudine e il savoir-faire della band. Bongzilla è comunque qualcosa che non apporta novità in una propria pubblicazione, la band è infatti stabilizzata in quella costellazione di esecutori fedeli a cavalcate nelle quali suoni pastosi, potenti e stilisticamente sospesi tra doom, stoner e sludge, si addensano per un viaggio sonoro senza una direzione precisa il più delle volte, prevedibile in altre. Proprio la title track con i suoi circa dodici minuti è una propulsione verso un dove ignoto che si ascolta ipnoticamente. Suoni imponenti e grezzi e la cosa è quanto mai piacevole, i quali sono il sale di certi momenti svalvolati, lisergici. I Bongzilla lasciano poco spazio al cantato, dai tratti disturbati come un ringhio quasi scream arso e incomprensibile di Mike “Muleboy” Makela, anche bassista. Onesti e limpidi i riff, di Jeff “Spanky” Schultz, che si esprimono con salutare lentezza e settantiana abitudine, senza una direzione prestabilita. I riff sembrano il frutto di un andare libero, come lo fa anche la batteria di Mike “Magma” Henry. Avanza la chitarra senza un eccessivo indugiare eppure lo fa, di indugiare, ma quei momenti, qui possibili vuoti, sono i luoghi del mutamento, del cambio passo e del semplice dilatare un insieme che per questa band è perfettamente normale.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10