(Autoproduzione) Black metal espresso nella forma pura. Purezza intesa come concetto di base, ricerca di una origine, di una radice, di una fedeltà ad una terra, ad una tradizione, a quella crudele fonte di ispirazione che è la natura stessa. Natura che rapisce e condanna dando il nome a questa band del Lazio, il nome di un vento glaciale, freddo e tagliente come il loro sound. Radici e purezza intese come legame verso il territorio che ti offre la vita, dove cresci, combatti, ti ribelli: è su questa idea, infatti, che risulta notevole la scelta di cantare esclusivamente in Italiano… scelta che all’inizio ha sollevato i miei dubbi… che sono stati violentemente devastati da questo EP ancestrale, essenziale, composto da cinque tracce alcune delle quali dalla durata imponente (si arriva a superare gli undici minuti per traccia). Black non certo innovativo, scelta tra l’altro voluta, ma decisamente radicale, legato a quelle origini dove l’atmosfera, gli arpeggi, la malvagità riusciva a dividere la scena con la velocità e la brutalità. Mi ricordano in un certo senso gli Imbolc, side project del drummer dei grandi Dark End, anche per questo feroce legame viscerale con natura e terre di origine, legame che è di fatto una delle dominanti del vero black metal. Un black metal fiero, caratterizzato da un vocalist con uno screaming violento, viscerale, infernale, trasudante malvagità e perversione, capace quindi di dare una nuova impattante apparenza alla nostra lingua madre. Fondamentale la formazione a quattro elementi, dove basso e chitarra trovano spazio uguale e condividono in maniera intelligente la scena, regalando assoli inquietanti e viscide atmosfere create da basso perverso, pieno di un calore in costante contrasto con l’incessante sibilare del vento. Ed è proprio il vento l’elemento scatenante di questo EP, un vento che praticamente soffia costantemente in ogni canzone, in ogni momento, in ogni pausa, in ogni strofa, concetto, eresia. “Burian” si scatena dopo un inizio marziale ed un grido arcaico, tribale, rituale. Oltre nove minuti di black metal che tuona, impera, comanda… arpeggi letali, riff spietati ed un cantato che ancora una volta riesce a mescolare la violenza con l’inno, l’odio con l’adorazione, la devozione verso l’unica divinità che ha senso adorare: la natura. “Rancore” intensifica la componente atmosferica, ed evidenzia il fatto che le linee di basso avvolgenti circondate da arpeggi crudeli è esattamente la direzione compositiva che più descrive i Burian. L’EP, che forse vale più di molti full length, marca la conclusione con l’imponente “Vento Glaciale”. Lunghissima, coinvolgente, piena di musica e oscura melodia, un incessante ensemble tra i musicisti che offrono drumming pieno, basso superbo e chitarra che regala un assolo che rappresenta morte e conseguente silenzio. Un pezzo caratterizzato da un finale lento, che sfocia con un basso che ancora una volta accompagna il vento incessante, un finale che muore, che sanguina lentamente fuori da mortali ferite, lasciando che l’emorragia si diffonda lentamente, ovunque, coinvolgendo, avvolgendo in una eterna ed impenetrabile oscurità. Introdotto da una bellissima copertina che rappresenta il ghiaccio, il freddo, il gelo, l’EP dei Burian è black viscerale, cinico, vero, puro; e freddo, dannatamente e meravigliosamente freddo.
(Luca Zakk) Voto: 8/10