(Byelobog Productions) Quando ho letto che Varg Vikernes aveva registrato un album all’insaputa di tutti, ho subito pensato che ci era ricascato. Un’altra volta elettro-ambient, di nuovo strumentali realizzate con i synth e con melodie che abbracciano arcaiche tradizioni nordiche, scaldiche. A dire il vero da subito il norvegese lo aveva fatto sapere che sarebbe stato così. Attenzione però, questo “Sôl austan, Mâni vestan” è in realtà la colonna sonora del film “ForeBears” di Marie Cachet e suo marito Varg Vikernes, basato sulla figura dell’uomo di Neanderthal. Personalmente ho sempre disapprovato la versione totalmente elettronica di Burzum (non mi convince è troppo elementare, approssimativo), inoltre anche qualche sua cosa black metal uscita dopo la scarcerazione, a seguito della quale ha optato per un album all’anno, mi ha lasciato perplesso; tuttavia sono sempre stato un suo attento sostenitore. La sua musica comunque mi piace e forte di questo devo ammettere che “Sôl austan, Mâni vestan” è nettamente superiore a ciò che si è ascoltato in “Dauði Baldrs” e “Hliðskjálf”, due lavori con toni forzati perché creati mentre l’autore era in carcere.. C’è una poetica sonora più docile, più fluente, la composizione sembra anche più “ricca” nelle sfumature. Non si sta parlando di Rick Wakeman e nemmeno degli Ulver, sia chiaro, ma un cumulo di esperienza, sensazioni e affinamento della materia musicale in fatto di pagan ambient è sicuramente ben manifesto in questa nuova release, tra l’altro nata per supportare immagini e non solo ideali racchiusi nella testa o nelle parole scritte dal Bardo del Nord. Poco meno di un’ora di calma e quiete dissoluzione e straniamento del tutto, magari importando qualche melodia vagamente udita già in lavori passati. Per dare un’idea del clima inscenato dai pezzi, mi vengono subito in mente le prime incisioni dei Tangerine Dream, come accade in “Haugaeldr”. Imponente l’artwork, dello spagnolo Ulpiano Checa e che raffigura il “Ratto di Proserpina”, dunque sempre più indissolubile questa profonda ricerca e riproposizione di modelli e fatti mitologici che motivano l’essenza e i meccanismi della vita. “Sôl austan, Mâni vestan” segna un passo ulteriore di un artista che nel suo verso ha sempre guardato avanti. Credo che i mezzi tecnici di Vikernes siano limitati e lo credo anche per i lavori prettamente black metal, ma lui è una pietra angolare del movimento e la sua variante “new age” (son sicuro che questo termine lo disapproverebbe) o quasi ritualistica, è l’esempio del suo progredire. A questo punto per Burzum vale, ancora una volta, il solito discorso: chi lo ama lo segua.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10