“Belus” e “Fallen” hanno lasciato intendere chiaramente la direzione stilistica di Varg Vikernes e sommariamente “Umskiptar” (che in norvegese vuol dire “metamorfosi”) riprende quel metal scaldico, come lo stesso Count Grishnackh l’ha bollato. Mitologia, epica e tradizione norrena, attraverso musica registrata come sempre al Grieghallen Studio di Bergen. Questo è “Umskiptar”, proprio come i due precedenti album. C’è una intro e poi “Jóln”, canzone con riff tremolanti, come le fiamme di un fuoco crepitante e la voce del Conte oscura o in chiaro, ma tesa a narrare più e che a cantare. “Alfadanz” si apre con una melodia dal sapore antico e somigliante alle espressioni più epiche e inesorabili che Vikernes ha tirato fuori nel proprio percorso musicale. Insomma, è il tipico brano in slow-mid tempo di marca Burzum dei primordi. Nella sostanza però è tutto “Umskiptar” a scorrere su tempi non veloci e quindi andanti, lenti, marcati. L’elemento discontinuo dal tutto, dall’insieme, è “Heiðr”: canzone sommessa, con intermezzi dove si ode solo il basso per tre ipnotici minuti. “Valgaldr” è il momento più epico, mitologico e con melodie sacre. “Galgviðr” rinuncia alla batteria, per quella che sembra una virata verso melodie folk e viking nella trama della canzone, ma senza l’uso di strumenti acustici. L’album chiude con due pezzi (“Gullaldr” e ” Níðhögg”) con oltre quindici minuti di voce narrante, plettrate sparse, arpeggi e ambient pregno di nebbie. “Umpskiptar” è un album utile per le storie, la narrazione, le tematiche espresse da Vikernes e lui stesso dice che le voci sono, in questo ennesimo album, più importanti rispetto a qualsiasi altro. Nel mentre la musica riprende pallidamente i caratteri maestosi, invasati e ispirati di un tempo. Tuttavia nell’insieme “Umskiptar” non rivela una preparazione particolare dei pezzi e viene difficile dire se ciò avviene per una focalizzazione dell’autore sui testi a discapito della musica oppure per un eccesso di “presenzialismo” sul mercato, con un album all’anno negli ultimi tre (senza contare la raccolta con rifacimenti “From the Depths of Darkness”). Un Vikernes mitologico, ma dai toni intimisti e comunque vibranti quello del suo ritorno, quello post carcere. Burzum è ora un concetto, un modo di pensare, esprimere e raccontare e non più (solo) black metal. Lo stile ossessivo, le melodie laceranti restano, ma il Conte selvaggio e spietato è invece perduto. Chi ha trovato meraviglie in “Belus” e “Fallen” può accostarsi a “Umskiptar”. Chi scrive queste righe continua a rimanere perplesso.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10