(Autoproduzione) Davvero affascinante questo “Aztlán”, secondo album per Cabrakaän, formazione originaria di Toluca, in Messico, ma trasferitasi a Calgary, in Canada. Non ne avevo mai sentito parlare in precedenza, ma al primo ascolto sono rimasto ammaliato dallo stile della band, in grado di coniugare un metal pomposo e magniloquente sulla scia degli Epica al folklore messicano, a cavallo tra il crollo della civiltà azteca e la colonizzazione spagnola. La lunga intro strumentale “Tonantzin” è cinematografica, evocativa, perfetta per entrare nel mood dell’album, con sonorità che, ovviamente con le dovute differenze, mi hanno ricordato il piper galiziano Hevia. “Fuego” gioca sulla contrapposizione tra riff arrembanti e muscolari e la voce soave di Pat Cuikani, resa ancor più musicale dalla scelta di cantare in lingua spagnola. Decisamente più grezza ma tagliente la voce in screaming del batterista Marko Cipäktli, che con i suoi interventi brutali crea un bel contrasto con la voce della vocalist. Pur non abusandone, la band si avvale di strumenti tipici del folk messicano, come l’ocarina e l’arpa jarocha, oltre alla marimba e il violino, i quali arricchiscono e rendono più suggestivo il sound, senza per questo risultare mai troppo invasivi. Suggestioni che aumentano nella malinconica, acustica ed affascinante “Xóchitl”, seguita dalla tradizionale “La Cigarra”, cover di un brano scritto in originariamente da Raymundo Pérez Y Soto che in questa versione vede la partecipazione di Reed Alton, cantante degli Osyron e del violinista James Watson. Un album avvincente, aggressivo, melodico ed in grado di immergere l’ascoltatore in atmosfere ancestrali ed esotiche.
(Matteo Piotto) Voto: 9/10