(Sleeping Church Records) Arrivano dalla zona atlantica della Francia i Carcolh con il secondo album teso a descrivere in maniera imponente e nitida il doom metal del quintetto. Atmosfere imperiose, oppresse quanto solenni, tinte da mastodontici riff di chitarre e una sezione ritmica grave, monumentale. Registrato e missato da Raph Henry presso Heldskalla Studio e masterizzato da Benoît Roux al Drudenhaus Studio (Anorexia Nervosa, Witchthroat Serpent), “The Life And Works Of Death” è una perfetta rappresentazione del genere. I suoi suoni chiari e poderosi, le melodie fosche, i tempi bassi che contribuiscono alla resa dei pezzi, sono gli elementi essenziali di un doom metal di buon livello. Sei pezzi dove la metà si sviluppano su minutaggi lunghi. L’opener “From Dark Ages They Came” in quasi nove minuti solo nella sua ultima parte sembra aprirsi su un altro tema portante, rendendo quanto udito in precedenza un tribolato e immenso passaggio introduttivo a questo finale canonicamente sabbathiano. “The Blind Goddess”, oltre dieci minuti di durata, è un altro momento dell’album a basso numero di giri, contrastata dalla successiva “When The Embers Light Way” che possiede un piglio tipicamente seventies. Si distingue anche la canzone “Aftermath” per il suo carattere intimista, d’atmosfera, con poche chitarre in arpeggio, un basso tenue e il cantato sorretto da un sint che funge da orchestra. Album dai suoni prodigiosi, rivestimento di melodie tipicamente epiche e dove il suonare non è solo il pedissequo seguire di schemi classici ben noti, per quanto poi i francesi suonino un doom comunque alla vecchia maniera. La capacità di costruire e differenziare le melodie, i temi quanto i refrain è l’aspetto principale, dominante. A tutto ciò si aggiunga un’ottima prestazione di Sébastien Fanton.
(Alberto Vitale) Voto: 8,5/10