(Pogoselvaggio! Records) Il traghettatore dell’Ade. Un viaggio verso gli inferi. Inferi musicali dove il dio dell’aldilà regna. E ritorno. Ritorno alla vita, ritorno alla luminosità solare che caratterizza la terra di origine di questo quartetto progressivo, la Sicilia. Ma Caronte mi porta alla memoria anche l’epica canzone dei The Trip, paladini del prog italo-britannico. Una cosa vi garantisco: i Caronte non sono da meno. Esagerata la tecnica che esibiscono nell’esecuzione dei nove pezzi che compongono questo album. Lo skill dei singoli musicisti è assolutamente di prima qualità, e lo dimostrano tutti senza mai mancare di arricchire le canzoni con virtuosismi deliranti, estremi, di quelli che fanno viaggiare, sognare, andare alla deriva. Tanta tecnica, ma anche tanta maestria nella capacità di mettere insieme queste enormi qualità individuali, creando pezzi molto fluidi che offrono ampio spazio a tutti gli strumenti. Il viaggio nel più profondo degli inferi me lo ha offerto la tecnica del bassista Mosca, sempre presente con linee di basso ricche, calde, dinamiche, pulsanti, offrendo a volte anche eleganti tecniche di slap o di tapping a due mani (ascoltate “Onirica” ed “ES” per farvi un’idea). Esagerata l’intesa con il batterista Scalici (sentiteli in “The Elderly and the Wall”) il quale, oltre ad essere l’autore dei bellissimi testi, è anche regista: sia nella vita che nell’ambito dell’esecuzione musicale, offrendo un drumming di altissimo livello, che integra funk, jazz, prog e metal in maniera sapiente ed innovativa, coordinando il resto della band la quale voga vigorosa lungo questo Acheronte della perfezione sonora. Con una sessione ritmica di questo livello, c’è il rischio di perdersi i virtuosismi di Carnevale alla chitarra, il quale è capace di cose assolutamente strepitose (“Living Lies” ne è un esempio), che inglobano così tanti stili musicali che si materializza tutto in uno stile a se stante. La voce di Alamia, ad un primo ascolto, un po’ delude: ma stiamo parlando di prog, di musica molto complessa, di musica da capire, musica che deve assorbire l’ascoltatore. Progressivamente. Serve qualche ascolto di pezzi come “Red, Blue and Green” per capire che questo è il cantante perfetto per questi testi, per queste melodie e che la sua voce ha capacità veramente ampie, non facili da dimostrare nel limitato spazio tra le vicine sponde del fiume dove Caronte naviga con questo album. Unica nota di demerito potrebbe essere la pronuncia in inglese, la quale risente un po’ troppo dell’accento italiano. I Caronte sono originali, non pagano ne tributi ne pegni ai grandi nomi del progressive metal. Io lo confesso: questo è il prog che io avrei sempre voluto sentire e, da musicista, che avrei sempre voluto suonare. Caronte in greco significa Ferocia Illuminata. Ogni sfaccettatura di questo significato può rappresentare la musica dei Caronte. Lasciatevi trasportare in questo viaggio. Il ritorno? Non sarà argomento di vostro interesse.
(Luca Zakk) Voto: 8/10