(Demnhood Productions) Sule prima il nome della band non mi aveva detto assolutamente nulla e, come sempre, mi sono avviato all’ascolto senza leggere nulla di loro. Niente bio o comunicati in allegato, solo la musica la quale pian piano mi ha montato nell’animo dei sospetti. Quella voce, quel tipo di sound, la struttura dei pezzi…”ma chi diavolo sono?”, mi son detto. I Cobolt 60 sono norvegesi e realizzarono un album nel 2002, “Meat Hook Ballett”, mai sentito, e allora “perché mi dicono qualcosa?”. Perché il duo è formato da Død e Mr Hustler, cioè chitarra/basso e batteria/voce di Blood Red Throne. Gente nota, concezione musicale ascoltata tantissime volte e quel plettrare di Død che lo si è udito anche nei Satyricon per qualche anno, ma solo dal vivo. Insomma due pellacce, due arcigni black metaller con ampie concessioni al thrash metal nel bel mezzo dei propri pezzi o nella struttura stessa del riffing. Le parti veloci di questo “The Great Defiance” sono black metal prima maniera, molto in sintonia con il sound tenebroso dei Mayhem (in “Of Antipathy and Solitude”), dei Satyricon (in “The Return of Theia”), Darkthrone (qualcosa la si ode in “Sort”), insomma troverete diverse influenze della scena black metal norvegese. Tuttavia spesso subentrano anche soluzioni vecchio stampo, antiche, per esempio gli Hellhammer in “Hammer of Creationist” o comunque tutta quella vecchia scuola dei primi anni ’80. Il vessillo del black metal innalzato su un landa di thrash metal diretto e potente, questo è “The Great Defiance”. I Cobolt 60 mettono in sequenza riff spietati, ma dannatamente lucidi e ben costruiti, determinando così dei pezzi con una struttura riuscita ed ordinata. Il riffing è immediato e dirompente, mentre il drumming è un continuo colpire in sistematica simbiosi verso l’andamento delle trame dei brani. I Cobolt 60 non saranno la “nuova era del black metal”, ma non saranno mai gli ultimi in fascino e valore.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10