(Cold Dimensions) Un black estremamente atmosferico, malinconico, decisamente in linea con il titolo dell’album. Ma l’armonia, la melodia, quell’andamento etereo e capace di far immaginare ampie ed infinite desolazioni, non è certamente di stampo strettamente rilassante grazie a chitarre malvagie e linee vocali totalmente devastanti e crudeli. I Coldworld arrivano dalla Germania e manifestano musicalmente un ambiente freddo, mortale, silenzioso, tipico delle foreste di quel paese… anche se le sonorità sono comunque calde, intense, ricche di emozioni e supportate dall’occasionale uso di suggestivi cori femminili o clean vocals. Otto brani intensi, spesso lunghi, i quali rendono questo secondo disco, successore di “Melancholie²” uscito ben otto anni fa, più ricco, più corposo, grazie anche ad una produzione complessa e l’introduzione di vari strumenti non strettamente convenzionali, oltre che alle sempre presenti tastiere curate dall’unico membro di questo progetto, Georg Börner. Se con il debutto eravamo in territori depressive, con un sound in linea con Xasthur ma con influenza Burzum ed una produzione selvaggia, il nuovo lavoro è più teatrale, ricorda qualcosa di Lustre, è più immenso, più plateale ed ogni singolo istante riesce a toccare a fondo le emozioni con una armonia sublime e complessa, curata e a tratti ipnotica. Su “Autumn” c’è ancora tanta depressione, ci sono aspetti fortemente gotici (grazie alle keys e in particolare agli archi), ma l’evoluzione di questi otto anni si spinge su territori più avant-garde, più post-black metal, regalando un ventaglio emozionale all’ascoltatore di gigantesco effetto. Tirata ma sognante “Scars”, malinconica e magnetica “Void”, intensa e ricca di immagini la lunga “Womb Of Emptiness”. “Autumn Shades” integra elementi dark mescolati professionalmente nel black, ed offre melodie che esaltano un trionfo decadente molto suggestivo. Catchy il drumming e l’impostazione melodica di “Nightfall”, mentre la conclusiva strumentale “Escape II” richiama l’omonima del precedente album (“Escape”) ma marca anche l’evoluzione, la progressione, la maturità stilistica del progetto. Un album freddo ma ricco di calore e sentimenti, che richiamano a scenografie infinite, quasi spaziali, dove lo stimolo della scoperta dell’ignoto si mescola con il gelo della consapevolezza della morte eterna. Crudele ma atmosferico, sognante. Freddo e pioggia che si alternano a sporadici raggi di sole che creano un barlume di speranza, la quale immagina una rinascita. Un disco geniale, contorto, arrangiato in maniera eccellente. E con un titolo assolutamente perfetto per descrivere quel periodo dell’anno che alterna colori gioiosi e oscurità depressive, andando lentamente verso la fine, verso la morte. E verso l’oblio.
(Luca Zakk) Voto: 8/10