(Negre planY / Negra Nit / Satanath Record) Gli irlandesi Corr Mhóna, attivi da oltre un decennio, sono un’entità strana che rimasta nell’ombra per molto tempo dopo la pubblicazione del debutto “Dair”, datato ormai 2014. Ma le due coppie di fratelli non sono scomparsi, anzi, ed danno ora vita ad un tumultuoso secondo album il quale offre ancora una volta quell’interessante quanto originale mescola di musica estrema (black e doom) con folklore tradizionale irlandese, senza per questo cadere nel prevedibile ambito del folk metal, senza farcire i brani prettamente metal con ritagli di musica tradizionale. Certo, il black si presta molto ad evoluzioni culturali tipiche delle radici e terre di provenienza, ma il quartetto di Cork non divaga gratuitamente, non affianca generi in modo scontato, rimane sempre decisamente incisivo, violento e pure diabolicamente progressivo. Growl feroce, clean suggestivo… spesso in regime di duetto, senza dimenticare i cori… il tutto sotto la frusta di riff micidiali con iniezioni tecniche che mi ricordano i mitici Depressive Age, du blast beat furibondi e privi di pietà, di cambi di rotta teatrali arricchiti da influenze folk: la musica dei Corr Mhóna è un assalto frontale poderoso, reso ancor più originale dal cantato rigorosamente in lingua madre, ovvero il gaelico irlandese. Questo nuovo lavoro, il cui titolo è traducibile come ‘fiume’, è di fatto un concept album proprio dedicato ai fiumi irlandesi e alla dualità dell’acqua, descritta sia come fonte di vita, che come causa di devastazione e morte: i fiumi sono le vene della terra, essenziali per la vita ma anche capaci di mostrare la poderosa e distruttiva forza della natura, una dualità perfettamente ribadita dalle eclettiche composizioni della band. Ognuno dei dieci brani porta il nome di un fiume irlandese e, la mitologia o le leggende in qualche modo legate a ciascuno di questi corsi d’acqua, esalta quella componente tipicamente black legata all’ambiente, alla storia e alle origini più pure. Si entra nell’atmosfera tetra, mistica e folkloristica con l’introduttiva “An Fheoir”, mentre la breve “An tSúir” lascia a bocca a aperta per il geniale accostamento stilistico esposto con una maestria che mi ricorda i Solefald. Burrascosa “An Bhearú”, sferzante “An Laoi”, stupenda “Banda”, la canzone che in maniera più eccellente dimostra l’abilità tecnica e compositiva del quartetto, con una alternanza impressionante di metallo violento, aperture dark folk e suggestioni ambientali. “Cumar an Dá Uisce” è uno strumentale dalle tendenze orientali che svela paesaggi verdi e sconfinati, mentre “An tSláine” conferma quella brillante creatività, qui esaltata da un uso più variegato delle favolose linee vocali. L’estasi sensoriale di “Uaimh” si riversa nella coinvolgente “An tSionainn”, traccia caratterizzata da linee vocali etniche ma anche estreme e disperate, il brano più lungo dell’album, in linea con il fiume dal quale prendere il nome (lo Shannon, il più lungo d’Irlanda). C’è infine un senso di malinconia sulla possente e conclusiva “An tSuláin”, brano scandito da una chitarra solista immensa. Musica che scorre come i fiumi, dalla timida e delicata sorgente, lungo il corso, con rapide turbolente ed anse imprevedibili… fino alla fine, fino all’ultima goccia la quale dopo il lungo viaggio si riversa pacificamente e mestamente nel mare che, generoso, la accoglie. Partiture non convenzionali, alternanze tematiche, ritmiche, vocali e sceniche tremendamente imprevedibili. Black metal, metal progressivo e melodie irlandesi che si intrecciano in una violenza inaudita, ricca di spiritualità introspettiva e di un groove dannatamente incalzante.
(Luca Zakk) Voto: 10/10