(Nuclear Blast Records) Confesso di essere partito piuttosto prevenuto nei confronti dei finlandesi Crownshift; sarà forse che il termine ‘super gruppo’ crea in me una certa diffidenza, oppure il fatto che, tranne qualche raro esempio, considero ‘death metal melodico’ come un ossimoro, e che sentir parlare di metal moderno mi causa attacchi di orticaria, fatto sta che questa recensione non nasceva sotto i migliori auspici. Ho quindi deciso di mettermi all’ascolto con meno preconcetti possibili e mi sono dovuto ricredere, perchè “Crownshift” è un album meraviglioso! I quattro musicisti coinvolti in questo progetto sono dei giganti della scena finnica, a cominciare dall’ex chitarrista dei Children Of Bodom, Daniel Freyberg, e dal bassista di Wintersun e Nightwish, Jukka Koskinen, due artisti ben conosciuti per le qualità tecniche e compositive. Non meno importante è l’apporto del drummer Heikki Saari, già con Finntroll e con i citati Wintersun, protagonista in questo platter di una prestazione mostruosa, mentre il cantante dei Mygrain Tommy Tuovinen stupisce per la sua voce versatile e praticamente illimitata. L’album viene catalogato come melodic death metal, definizione che trovo alquanto limitativa, visto che “Crownshift” è molto di più: ovviamente il melodeath è nel DNA soprattutto del chitarrista e quindi è una parte fondamentale del sound, nel quale confluiscono però una quantità incalcolabile di influenze, spaziando da richiami a-là Devin Townsend/Strapping Young Lad fino al power melodico, da torride mazzate thrash a momenti smaccatamente melodici e vicini all’AOR. Se l’opener “Stellar Halo” è diretta, lineare e catchy, perfetta introduzione alla band, “Rule The Show” è devastante, dalle atmosfere gelide ed industriali e progressive allo stesso tempo tanto care al citato genio canadese Townsend. “A World Beyond Reach” sa essere pesante, dinamica e maledettamente ruffiana, con quelle melodie a-là Journey e Pink Cream 69 mescolate e frullate insieme a ritmiche schiaccia sassi. “If You Dare” vede un Saari estremamente potente e dinamico dietro le pelli, mentre il riffing è cupo e infarcito di assoli funambolici. “My Prison” sprizza classe sopraffina ad ogni solco, dalle armonie vocali deliziose al grande assolo di chitarra, fino al basso mai così groovy e che avrebbe meritato più spazio in fase di mixing, per un brano melodico e dolce, al quale si contrappone “The Devil’s Drug”, di gran lunga il più pesante e ricco di influenze groove metal, con un’esecuzione vocale da applausi a scena aperta. Solo dei geni possono unire in una sola canzone band dagli stili così lontani tra loro come Tool e Amorphis, ma evidentemente per Crownshift nulla è impossibile, come dimostrato dal superbo strumentale “Mirage”. La conclusiva “The Other Side” dura più di dieci minuti che scorrono via con una facilità impressionante, tra grandi cambi di tempo, partiture prog ed un dinamismo non comune. Alla fine della fiera è impossibile catalogare Crownshift in un genere predefinito: la band ha trovato uno stile unico e riconoscibile, rimanendo allo stesso tempo aperta ad ogni tipo di sonorità, dimostrando un margine di crescita praticamente illimitato. Musica con la ‘M’ maiuscola!
(Matteo Piotto) Voto: 10/10