(A Beast in the Field) Terzo album per i canadesi Crystal Coffin, i quali dalla formazione nel 2017, non si sono mai riposati pubblicando un disco nel ’20, un’altro nel ’21 e ora questa nuova opera di black melodico suggestivo, interessante, provocante e dannatamente intelligente. Le basi sulle quali il trio costruisce la proposta sono un amore per il cinema horror italiano degli anni ’70 e ’80, le storie sci-fi e la filosofia in generale, mentre musicalmente quel death/black di base è molto profondo, abbraccia prog e musica elettronica, viene sferzato da una rabbia che trova origine nelle atrocità dei nostri tempi, una rabbia che poi si lascia influenzare da esoterismo, storia e, non ultimo, l’immancabile folklore. Il nuovo disco è sostanzialmente un concept con un protagonista che dopo alcuni falliti tentativi di suicidio finisce in una clinica di riabilitazione clandestina l quale esegue strani esperimenti notturni sui pazienti; con un mix letale di criogenetica, rituali… e qualche traccia di spionaggio, ecco che il soggetto diventa suo malgrado il primo essere umano dotato di immortalità provata e certificata, cosa che lo condanna ad una vita che non necessità più della sua naturale evoluzione, ovvero la morte. Un black pungente, per certi versi -anche per l’impostazione della voce- simile a quello dei Tribulation, qui però arricchito di una certa dimensione di contorno, con keys suggestive, linee di basso calde, tendenze molto più death e riff dannatamente pungenti. Chiamatelo black, black melodico, blackened melodico o come vi pare, ma resta il fatto che “The Curse of Immortality” è un album da ascoltare a ripetizione, super coinvolgente e capace di trasmettere con impeto una quantità illimitata di poderosa energia!
(Luca Zakk) Voto: 8,5/10