(AFM) L’album di cover “Skeletons” aveva fatto tremare i più. “Deth Red Sabaoth” era del 2010 e chi ha atteso Danzig per cinque anni per poi ritrovarsi canzoni di Aerosmith, Black Sabbath, ZZTop e altri rifatte con poco mordente, ecco che inevitabilmente sono sorte delle perplessità. 2017, nuovo album in studio di Glenn Danzig, un anno dopo la reunion con i Misfits e a venticinque anni da “Danzig III: How the Gods Kill”. Nuovo album e fatto tutto sommato dignitosamente, anche se la voce di Glenn è calata e a tratti ha un qualcosa di svogliato nei toni: ascoltatela bene, magari in cuffia e nelle parti più quiete e lo noterete. Eppure Glenn Allen Anzalone espone nove pezzi pesanti, anneriti e foschi. Nebbie e corvi, elettricità e potenza scuotono gli altoparlanti, proprio come la lacerante “Devil On Hwy 9”, il cui titolo desta nella mente la sua possibile grandezza. In fatto di forza poi anche “Blackness Falls” si fa sentire. La title track e opener è un inno ossianico, maledetto, una di quelle poetiche decadenti care all’ex Misfits. La decadenza e malinconia arriva anche attraverso “The Witching Hour”, dove gli accordi di Tommy Victor (Prong e Ministry) creano strati di grandezza. Incedere sabbathiano per “But a Nightmare”, mentre “Skulls & Daisies” sprigiona una distorsione ammantata di fuzz e diavolerie elettroniche che forma un tappeto noise metal sul quale domina Glenn Danzig, per quello che è uno scorcio diverso dal solito. “Black Laden Crown” segue quella linea e continuità di stile che quasi non ci si aspettava più da Glenn Danzig. Lui ha comunque faticato per incidere questo album di inediti, sono infatti passati sette anni per farlo e avrà avuto i suoi buoni motivi. Ritorno con una certa qualità rispetto al recente passato, insieme a una manciata di buone canzoni.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10