(Time To Kill Records) Dopo ben cinque anni tornano con un nuovo disco, con -ancora una volta- una nuova etichetta (mai più di un album con la stessa label nella carriera di questa band italiana); e pure la line up è mutata, evolvendosi ancora una volta, accogliendo il chitarrista solista Acamar, originariamente attivo come session in sostituzione del dipartito Nothingness. Nuove carte in tavola dunque, una nuova alchimia… e un nuovo profondo rituale: il genere non cambia, anche grazie alla vastità stilistica che esso ingloba, rendendo quindi pure le nuove definizioni (Sonic Transcendence / Blackened Heavy Metal, ndr) completamente inutili. I Darkend, con la loro crescita artistica, mettono sicuramente le radici nel black metal, forse quello di matrice sinfonica, ma non si pongono né limiti né confini nell’evoluzione del loro sound, il quale vaga tra teatralità e rituale, tra oscurità intrinseca ed esplosività lacerante, trascinando l’ascoltatore dentro labirinti mistici, percorsi spirituali tortuosi, furie ancestrali e consapevolezze carnali estremamente efferate, attraverso il silenzio incontenibile del caos ed il boato assordante della fine, dell’epilogo esistenziale, della morte stessa. “In My Multitude” è tuonante, è catchy, è tanto irriverente quanto ipnotica… e quel finale apocalittico porta con impeto trionfale alla successiva “An Incautious Exhumation Of What Lies Beneath Forgotten Ground”, traccia che accompagna attraverso percorsi impervi, spesso massacrati da tuoni e fulmini, a tratti resi suggestivi da dimensioni oniriche dal sentore così dissacrante e così ecclesiastico, mentre la chitarra solista ama inerpicarsi in dipinti melodici semplicemente stupefacenti. Entra nella psiche l’incedere depressivo e doomy di “De Masticatione Mortuorum In Tumulis”; “An Ancient Plague Has Silently Worn Our Garments As Its Throne” è tuonante, è melodica, offre assoli di alto prestigio, catturando poi con le spoken vocals di Julius Robert Oppenheimer, prima dell’imponente epilogo -sia musicale che esistenziale- rappresentato da “In Your Multitude”, un brano tetro, pesante, nuovamente doomy, scandito da un mid tempo marziale, pregno di dannazione, privo di speranze ma ricco di nuovi orizzonti. Una ricerca interiore. Un viaggio dentro l’ignoto dell’IO materiale e spirituale. Un album ciclico, un album che parte da un concetto tornandoci in versione evoluta e superiore, in un movimento circolare, a spirale, che ricorda il percorso della vita stessa, dai primi timidi vagiti fino al silenzio… oltre che la discesa verso gli inferi, dai gironi più sopportabili fino alle torture di quelli più violenti. Tutto ruota attraverso una moltitudine di IO al plurale, di anime, di solitudini e di folle: la moltitudine in senso assoluto. La moltitudine privata e quella di tutti. Il riassunto della sintesi della vita. La provocazione della cerimonia della morte.

(Luca Zakk) Voto: 10/10