(Minotauro Records) Era il 1984 e la Dutch East Records commissionò a Jack Starr aka Lucifer, chitarrista, tre album con budget limitato e un margine di tempo ancor più esiguo. Ebbene “Devil Childe” fu proprio uno di quei tre album ai quali Starr diede vita con (l’unica) omonima formazione, con il fidato Anton Phibes al basso e Matthew Hopkins (al secolo Joe Hasselvander) alla voce e batteria. Musicisti di lungo corso e che negli anni a seguire maturarono un’esperienza ancora più importante (White Lion, Cathedral, Blue Cheer, Virgin Steel e tanti altri ancora). “Devil Childe” è un lavoro dozzinale, sporco, registrato con approssimazione e in 12 ore! Ancora oggi ascoltare un lavoro del genere significa calarsi in uno scenario vago, ombroso, ma di certo estremo. Un heavy metal oscuro, freddo, approssimativo. Scarna esecuzione per un sound che allora poteva essere un fratello di “Hell Awaits”. Ritmiche poderose e un basso insistente e preponderante. Su tutto ecco Jack Starr a ricamare riff e assoli dalla natura diabolica e ribelle. Incredibili le voci, tra toni semplici e acuti power metal. Alcuni pezzi riescono a far presa da subito, proprio grazie a dei riff base facilmente assimilabili per la loro inquietudine e selvaggia attitudine un po’ alla Judas Priest. Altri, invece, appaiono esempi dozzinali di un heavy metal solamente selvatico. Un capolavoro? Un piccolo gioiello? A metà tra un’opera di heavy metal esemplare e la troppa e condizionante limitazione nei mezzi, “Devil Childe” rappresenta più che altro un’epoca in cui l’heavy metal era ormai cresciuto, un genere adulto che come la figura mitica di Cronos si apprestava a sfornare una serie di figli che avrebbero istituzionalizzato il genere fornendo nuovi spunti ancora più estremi. Di certo un album per gli appassionati del periodo.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10