(Nuclear Blast Records) Tanto moderni quanto aggressivi. Tanto malinconici quanto atmosferici, tanto melodici quanto imprevedibili. Il quarto album degli inglesi Devil Sold His Soul è molto curato, intenso, introspettivo… in costante equilibrio tra una violenza devastante ed una divagazione sonora molto suggestiva, sempre in grado di materializzare uno scenario che rappresenta stati d’animo, sentimenti, espressività interiore. La doppia voce dei due vocalist, poi, intensifica ulteriormente il soundscape generato, rendendo i brani molto coinvolgenti e spesso imprevedibili. A livello tematico il disco è molto spontaneo, non ci sono argomenti scelti a monte ed ogni brano affronta storie di perdite personali, dolore, depressione e sanità mentale… sia dal punto di vista della sofferenza che da quello del lungo e tumultuoso percorso di guarigione, quest’ultimo dettaglio capace di dare speranza al fiume di sferzante malinconia diffuso dai dieci brani. Le canzoni abbracciano l’ascoltatore con arrangiamenti ricercati, aperture sia ritmiche che melodiche imponenti, spesso piacevolmente imprevedibili; un ottimo esempio è la poderosa opener “Ardour”, canzone capace di far convergere la delicatezza del sogno e la brutalità dell’incubo. Ricercatezze melodiche irresistibili con “Witness Marks”, blast beats che si alternano ad atmosfera su “Burdened”, senso trionfale su l’enigmatica “Tateishi”. La rabbia si scatena tra le note di “The Narcissist“, mentre emerge un groove in qualche modo legato al punk moderno su “Beyond Reach”. Ha un incedere oscuramente epico la bellissima “Signal Fire”, incroci nu-metal e alternative con “Acrimony”, traccia con interessanti aperture tematiche. In conclusione la provocante “But Not Forgotten”, seguita dalla title track, un brano nel quale la malinconia e la nostalgia si rivelano più brillantemente dominanti. Album che rappresenta novità importanti, visto e considerato che è il primo con la Nuclear Blast ed il primo con due vocalist (quello originale era uscito dalla formazione, per poi tornare a fianco del suo sostituto). Un lavoro complesso, forse leggermente troppo lungo (oltre un’ora) tanto che quella immensa mestizia rischia di intrecciarsi con la noia. Tuttavia è musica moderna fatta da giovani che vivono in un’epoca che corre veloce, sempre di fretta, un’era nella quale è difficile concepire un album intero come unica entità: infatti le lunghe canzoni possono risultare troppo soffocanti se messe tutte assieme, ma è altrettanto vero che un fruire ‘a morsi’, un brano piuttosto che l’altro, in regime di singoli, rende “Loss” una consistente miniera di musica molto ben composta, molto ben suonata e ricca di emozioni.
(Luca Zakk) Voto: 7,5/10