(This Is Core) Ruvide note da Pavia. Non dal Nevada o dalla California, anche se il sound dei Di’Aul potrebbe dare questa impressione. La causa è un insieme sonoro macchiato di groove, impostato con dettami stoner, ma non da meno da un atteggiamento metal generalmente duro, massiccio. “Garden of Exile” è il secondo album per la band, proposto con un’atmosfera fangosa, oscura. Un riffing con punte di heavy e thrash che ripropone linee più o meno classiche e contemporaneamente rende i pezzi assimilabili. Atmosfera palustre, decadente, pesante. Eccellente la sabbathiana “Born in Black”, con il suo incedere che comunque rientra nei canoni dei seventies. Il doom più ipnotico e intenso è dato da “Mistery Doom”, manco a dirlo! Il brano vende all’ascoltatore un prodotto seducente: intro lisergica, cadenza pesante, ossuta, roboante. Il pezzo è vivo delle inquietudini del doom puro. “In the Wood” mastica atmosfere maledette, segnate dalla disperazione e riti oscuri, ma “Funeral Blood” rappresenta la deriva massima verso l’ignoto e la morte, verso il doom sulfureo e decadente. Situazioni vivaci in “The Fallen”, ma più generalmente “Garden of Exile” è un’album che propone una gamma di pezzi dove gli sbalzi di umore sono molteplici. Uno stoner-doom a tratti sulfureo, in altri lisergico e da rock vecchio stile e tutto quanto per suonare in modo non certo originale, ma saggiamente ben modulato e con un modo di essere coinvolgente. Pigiate play e incamminatevi in questa notte fonda.
(Alberto Vitale) Voto: 7,5/10