(Snowhite) “Cut” già dalle prime bautte si rifà alle gloriose L7 ed è l’opener di “Venom Dish”. “Gender Identity Disorder” ricorda i Sonic Youth e “Unburied from Sand” John Spencer. Senza voler continuare a fare la radiografia ad ogni singolo pezzo, è chiaro che l’identità rock-garage, alternative punk, grunge e alternative rock degli svizzeri Disagony è alquanto pronunciata e pura. La purezza risiede nell’essere una band di tipo anni ’90, per quello che suona. “Venom Dish” è un lavoro piacevole, si lascia ascoltare e contiene alcune sfumature. Quello che invece non sembra essere al meglio è l’identità dei Diasagony. Autori, musicisti, personaggi calati nelle proprie emozioni musicali, per metà delle canzoni propongono qualcosa di già sentito. Magari pensi ai Nirvana di “Bleach”, al rock tirato di Joan Jett, le Hole. La voce della Lynn (anche chitarrista) induce a pensare ad alcune musiciste femminili già citate, ma la sua sei corde e la batteria e il basso che le fanno compagnia (la band è un trio) si prestano comunque a ricordare altri. Il sound è pulito ed energico, ma il suo meglio artistico lo da in “Insobriety” per come i tre alzano e abbassano i toni, oltre ad una buona interpretazione vocale. C’è anche la lisergica e scorbutica “No Gold But Your Eyes”. Questo album non è noioso, ma temo sia molto vicino a cose standard del grunge, alternative punk/rock e dunque potrebbe finire per essere un lavoro che piace o risultare indifferente, magari dopo averlo ascoltato fino a consumarlo e poi dimenticarsene del tutto. Non male come inizio per la varietà dei pezzi, ma “Venom Dish” credo dica anche che i Disagony debbano mostrare molto di più della propria personalità.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10