(Silver Lining Music) Tredicesimo album dei Dokken e chi lo avrebbe mai pensato che il buon Don arrivasse a tanto. Lo split della band nel 1989, una formazione mai del tutto stabile che ha visto passare gente come Mark Boals, Barry Sparks tra gli altri. George Lynch che dopo lo split ritorna a schitarrare solo per tre album. Infine il buon Don Dokken che tra ospitate, lavori solisti, ha voluto cimentarsi anche in altro che i soli Dokken. Si aggiunga anche un serio problema alla colonna vertebrale che a seguito di operazioni lo ha anche limitato, infatti non può più suonare la chitarra ma almeno la voce gli è rimasta. Niente di veramente stabile nella storia dei Dokken ma la loro è una storia affascinante e quest’anno a qualcuno è venuto in mente di riproporre il nocciolo duro e puro, quello placcato di diamanti, cioè i primi quattro album della band QUI esaminati. “Heaven Comes Down” è un hard rock d’annata, per tipologia di canzoni, per i suoni e la voce. Le canzoni di Don Dokken e soci sono proprio collocabili come stile agli anni ’80 e primi ’90. Il tenore stilistico è quello, anche gli assoli della chitarra di Jon Levin, ex Warlock e Doro, sono brillanti, elettrici, mentre le parti di chitarra di riff o arpeggi, sono morbidi e non sempre ruggenti. Dal promo ricevuto si avverte una predominanza delle alte frequenze e nonostante sia percepibile il basso di Chris McCarvill, il tutto appare come una registrazione di almeno quaranta anni fa. La cosa non dispiace al contempo però incide anch’essa sul poco mordente che l’album in vari punti esprime. La produzione è di Bill Palmer e dello stesso Don Dokken e il mixaggio di Kevin Shirley (Iron Maiden e altri). Canzoni come “A Just Like A Rose”, “Over The Mountain” oppure “Lost In You” sembrano svegliarsi quando entrano in gioco gli assoli, tuttavia non è che quando è Don Dokken a portare avanti le sue strofe il tono cala, semmai è anche a causa di una struttura musicale che appare leggerina e a tratti con poco ardore. Figurano dei buoni pezzi: l’accoppiata iniziale, “Fugitive” e “Gypsy”, sempre laccata di quei toni anni ’80, la ruggente “Saving Grace” che ricalca i Deep Purple del decennio ’80. Piace poi “I’ll Never Give Up” col suo tono un po’ struggente e con Don Dokken ispirato come anche in “I Remember”, altra canzone soft. Ecco, Don Dokken… In alcune canzoni è abile e dalla vocalità fluente, in altre forse l’usura del tempo si nota di più, questo spiegherebbe anche i numerosi cori. A proposito, Mark Boals è indicato nei cori, a conferma che un sostegno qualitativo era necessario. Per il cantante quel timbro e quel suo essere è ancora capace di dire qualcosa, a riprova di ciò ecco l’acustica e conclusiva “Santa Fe”, non dunque un pezzo svelto e ruggente ma dalle luci soffuse e più comode per il singer.
(Alberto Vitale) Voto: 6/10