(Avantgarde Music) Credo che fare sperimentazione, avantgarde, psichedelia, fusioni di stile e cose del genere occorra innanzitutto del buon gusto, altrimenti si scade nella banalità o in forme sonore inconsistenti e vuote. Gli Echoes Of Yul posseggono un sound fatto da post doom e drone/avantgarde, ovvero c’è una base base doom con forti derive verso un metal apocalittico o seminale, caotico o figlio delle ombre dei Neurosis. Tra scenari cupi, semi-psichedelici e pilotati da un basso nebuloso e un drumming quieto e in primo piano, dove la melodia è creata da un arpeggio vibrante (“Numbers”), tra parentesi dove suoni dark ambient (“Haunebu”, “Crosses”, “Octagon”), spuntano in ondeggiamenti possenti di chitarre e basso alla Neurosis, oppure di tipo sludge, e quindi poderosi e solenni o psicotici (“Cold Ground”, “The Tenant”), gli Echoes Of Yul sviluppano sonorità sperimentali legate a strutture concepite con estrema cura. Uno dei migliori esempi di queste pianificazioni sono gli oltre 7’ di “Lybra”, dove un riff portante vede sbocciare su di esso suoni (anche vintage, come un mellotron, o comunque qualcosa che gli somiglia) tra lo space rock e la psichedelia, sampler e cose simili che vengono riprese anche negli oltre 13’ di “Last”. Un sound spesso sospeso in climi eterei e incerti (“The Plane”, “Save Yourself”) o addirittura inaspettati come il parziale drum ‘n bass di “The Message” e lo pseudo post-industrial di “Chrome”. Tutto si sussegue all’interno di una serialità in cui i suoni si somigliano, hanno la stessa genetica e lo stesso carattere misantropico e così le 13 composizioni dell’album sembrano davvero essere della stessa famiglia e avere gli stessi genitori. Un insieme ben modellato, nonostante i diversi elementi che lo formano. Agli Echoes Of Yul è bastato solo (mica poco!) avere del buon gusto.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10