(Nuclear Blast) Sono stato fra i primi fan in Italia degli Eluveitie, già con “Vên”, quando nessuno sapeva chi fossero; ho consumato “Spirits” e “Slania”, poi sono rimasto profondamente deluso dalla piega presa dalla band con “Everything remains as it never was” e, infine, ho salutato non certo come un capolavoro l’ultimo “Helvetios” (recensito QUI, dove parlo più approfonditamente della carriera degli svizzeri). Oggi arriva sul mercato “Origins”, preceduto da un battage pubblicitario senza pari che ne ha già fatto un capolavoro, e che – ne sono certo – impedirà a tantissimi colleghi e fan di vedere le cose come stanno. A me la situazione sembra chiarissima: sì, gli Eluveitie hanno ritrovato la propria vena creativa, almeno in buona parte; no, non hanno avuto la forza di rinnovarsi, e quindi “Origins” non presenta nulla di nuovo. Certo, quante band che hanno inventato qualcosa hanno finito per copiare se stesse dopo tre o quattro album? Fra le ultime new sensation del metallo mi vengono in mente Turisas, Alestorm, Heidevolk… gli Eluveitie non fanno eccezione, il loro sound è ormai arcinoto e non può più fare sensazione. Finché i nostri scrivono bei pezzi, come nel caso di “Origins”, allora va tutto bene; ma se dovesse arrivare un altro “Everything”, credo che i nostri potranno dire addio agli splendori assicurati da un contratto con la Nuclear Blast… Ancora una volta, i testi hanno a che fare con leggende dell’Europa primordiale, in questo caso gallesi. La titletrack è una intro che disegna il giusto clima epico e fiero, quindi “The Nameless” procede pressappoco sulla stessa melodia, alternando blast beats furiosi a momenti di quiete apparente. In generale, il brano ricorda abbastanza “Inis Mona”, una delle migliori canzone mai scritte dagli elvetici, ma afferma comunque la propria personalità. “From Darkness”, per quanto guidata da un allegro giro di cornamusa, riesce comunque ad essere epica fino al midollo; anche “Virunus” mette insieme un’anima folk e la furia rabbiosa del death metal più urlato. In questo senso, il capolavoro del disco è certamente “The Call of the Mountains”, della quale non a caso è stato girato un video, e che nell’edizione speciale è presente in tutte le lingue parlate in Svizzera (dunque anche in italiano): giro più semplice ma non scontato, atmosfere pagane oltre ogni limite, e il cantato di Anna Muprhy che fa innamorare; in certi passaggi, non dico un’eresia, ci sono addirittura echi dei Within Temptation di “Mother Earth”. “Inception” è ben oltre i confini del black, mentre “Vianna” è di nuovo più leggera, quasi la power ballad del disco. “King”, non a caso il primo singolo estratto, è un altro capolavoro di rabbia maestosa; peccato soltanto che il disco si chiuda in un fastidioso anticlimax, perché “Carry the Torch”, ultimo brano prima dell’outro “Eternity”, mi sembra decisamente il più debole della scaletta (che in ogni caso, come praticamente in tutti gli album degli elvetici, è troppo lunga). A fare il criticone a ogni costo finisco certamente per diventare antipatico: “Origins” è un buon disco, statene certi, compratelo e godetene, ma gli Eluveitie ci avevano fatto, nove o dieci anni fa, una promessa che poi non hanno mantenuto. Io vedo soprattutto il talento sprecato di chi poteva dare cento e invece si prende un sette.
(Renato de Filippis) Voto: 7/10