(Rock’n’Growl) Il virtuoso chitarrista Stu Marshall, dopo aver abbandonato i Dungeon qualche anno fa, ha creato un progetto ben più ambizioso che prende il nome di Empires of Eden: una sorta di all star band dove l’artista australiano fa il polistrumentista e cantanti noti e meno noti dell’ambiente metal imbracciano il microfono ciascuno per uno o due pezzi. Il precedente “Reborn in Fire” vantava le partecipazioni di Sean Peck, Zak Stevens e nomi della scena australiana, ma stavolta il cast è molto più ricco; a onor del vero il songwriting non è mai veramente stellare (era il difetto anche del predecessore), ma la mole di ospiti coinvolti vale sicuramente il prezzo del biglietto. Ad aprire le danze è Rob Rock con “Cry out”, tanta potenza per il più classico power metal fracassone. L’intramontabile Udo Dirkschneider è il protagonista di “Hammer down” (in coda alla scaletta c’è una seconda take cantata da più artisti): il mood è naturalmente più metallico anche se il singer non sembra proprio al top. “This Time”, che inclina più verso l’hard rock, è affidata ai toni ruvidi di Steve Grimmett dei Grim Reaper (pure lui già presente sul disco precedente); altro cambio d’atmosfera (adesso è il turno del thrash) nella titletrack interpretata da Sean Peck dei Cage. Atmosfere nuovamente power (che compongono forse il pezzo migliore di tutto il disco) per il nostro Alessandro Del Vecchio con “Lions for Lambs”, e molti echi dei Gamma Ray nell’arrembante “World on Fire”, eseguita da Louie Gorgievski dei Crimsonfire, che aveva già collaborato al precedente capitolo. Sempre gagliardo Mike DiMeo (in “Your Eyes”); dell’epica e sinfonica “Born a King” ci sono due versioni, una cantata da Sean Peck e l’altra dal molto meno noto Danny Cecati degli Eyefear (anche se mi sembra più grintosa la versione di quest’ultimo). Si chiude come si era iniziato con la doppia cassa di “White Wings”: bella l’interpretazione di Ronny Munroe. Una bordata power di facile ascolto per godersi tante belle voci.
(Renato de Filippis) Voto:7,5/10