(W.T.C.Productions) Black metal pieno di letale e perverso tradizionalismo. Il duo tedesco arriva così al secondo lavoro in soli tre anni di attività. Ma la loro limitata esperienza non influenza minimamente la capacità compositiva che dà alla luce un lavoro tetro, marcio, malato, fedele al black metal della metà anni ’90, con mid tempo che trasudano groove, singoli strumenti ben registrati e suonati con dinamismo e spirito di coinvolgimento (batteria e basso risultano veramente fantastici). Dominato da un growl pieno di sofferenza e rabbia, il disco svela minuto dopo minuti dettagli superlativi, istanti geniali, parentesi personalissime che evidenziano una perfetta conoscenza della musica in senso trasversale: si percepiscono infatti idee ambient e melodiche, riffing che martellano su teorie di accordi quasi hard rock, divagazioni folk sempre concepite per diffondere magia, natura, oscurità e morte. I pezzi principali (ci sono delle introduzioni o intermezzi) sono molto lunghi (si arriva a quasi 12 minuti) ma non stancano mai, nemmeno dopo numerosissimi ascolti. La costruzione delle canzoni infatti non pecca mai di monotonia e c’è una sapiente alternanza di movimenti, con uno scambio che spazia da atmosferico a ritmato, da tirato a coinvolgente… rendendo i pezzi capaci di far percepire deviazione e oscurità ma anche quella violenza e cattiveria che offre loro una compatibilità devastante per una attività live. L’album vanta un fattore epico, un sound viscerale ma molto ricercato, una pulizia ed una definizione impressionanti, capaci di dare nuova vita a questo specifico genere. Entartung riescono a offrire le emozioni deviate che negli anni d’oro ci pervenivano da Satyricon, Immortal, Burzum ma anche, e particolarmente, da Naglfar e Dark Fortress. Fantastica “Blasphemaverit in Spiritum Sanctum”, con quel riff a metà pezzo che crea un magnetismo subdolo e pieno di sanguinosa perversione. Apre in qualche modo con idee orientate ai Satyricon “Out of Darkness into Light”, per poi evolversi in uno spettro di toni di grigio, con ritmiche semplici ma maledettamente geniali, abbinate a vocals che bilanciano un growl graffiante ed un sospirato demoniaco. La sezione acustica di matrice folkloristica è immensa, ed il suo ricondurre la canzone verso atmosfere pesanti è costruito con brillante perfezione. La lunghissima “To Conquer Immortality In The Depths” intensifica le ombre, le tonalità oscure con un riff distorto arpeggiato e uno sviluppo che ricorda -con piacere- i Dark Fortress; ma il pezzo è un libro con molte pagine da sfogliare, ed ogni capitolo porta su territori distinti e opposti: momenti intensi, epici, brutali, pieni di groove, sezione ambient con suoni registrati in riva al lago o al mare, con un tetro e dolcissimo arpeggio di sottofondo, per poi divagare su idee vagamente progressive (da notare il bellissimo drumming alla fine della parte ambientale) e per finire con l’immensa negatività che questa giovane band è veramente capace di instaurare. Un album immenso, capace di essere semplice e diretto ma anche complesso ed elaborato. Arte musicale. L’arte di creare qualcosa la cui complessità o genialità non risiede solo nella struttura tecnica o compositiva, ma che si integra totalmente nell’opera, generando magnetismo ed irresistibile oscura attrazione.
(Luca Zakk) Voto: 9/10