(Nuclear Blast) C’era attesa per il come back discografico degli Exodus, specialmente dopo la notizia del ritorno in formazione del front man Steve “Zetro” Souza, storico singer della band, capace, col suo timbro di voce schizoide di caratterizzare pesantemente il sound del combo Californiano al punto che, secondo molti, gli albums di Hatriot e Tenet suonavano più “Exodus” di quelli originali. Ritengo che Rob Dukes abbia svolto un buon lavoro nei precedenti albums (“The Atrocity Exhibition: Exhibit A” e “Exhibit B: The Human Condiction”), ma mancava quel tocco di follia, quell’aggressività malata che solo Souza è in grado di garantire. Tornando all’album, devo dire che la band ha sfornato quello che probabilmente è il loro miglior lavoro, nonché uno dei migliori dischi usciti in ambito thrash, genere che hanno praticamente inventato nei primi anni ’80, quando i Metallica facevano loro da supporto e Kirk Hammet era il chitarrista del gruppo capitanato da Gary Holt. A livello compositivo, l’album dimostra una maturità invidiabile che permette loro di realizzare pezzi piuttosto lunghi senza perdere l’immediatezza e l’impatto devastante tipico del loro stile. Il riffing è incalzante ed estremamente variegato, tanto che azzarderei un paragone con i Dark Angel di “Time Does Not Heal”, anch’esso un album furioso e complesso allo stesso tempo. L’impatto è micidiale già dall’iniziale “Black 13”, aperta da un sampler elettronico dopo il quale si scatena un riff che ci riporta ai tempi di “Fabulous Disaster”, spazzando via i modernismi presenti negli albums precedenti. Tutto il lavoro si presenta come un ritorno alle origini, arricchito dall’esperienza e dal notevole bagaglio tecnico accumulato nel corso degli anni. La title track è breve e diretta, dal refrain semplice e irresistibile e con un basso roboante alla Overkill. “Collateral Damage” è una cavalcata a rotta di collo, anch’essa non molto lontana dallo stile della band di Bobby “Blitz” Ellsworth. “Salt The Wound” è il classico brano alla “Toxic Waltz”, con quel riff che ti spinge a saltellare per la stanza. Alla chitarra assistiamo al ritorno all’ovile di Kirk Hammet, autore di un pregevole assolo effettato dal suo inseparabile wah-wah. “Body Harvest è un mid tempo con un rallentamento centrale molto groovy che precede una micidiale accelerazione. “Btk” è d’impatto ma piuttosto anonimo, caratterizzato da un riff iniziale alla Testament. Pezzo buono ma non memorabile. Stesso discorso per la successiva “Wrapped In The Arms Of Rage”, song che comunque decolla grazie al mostruoso lavoro dietro le pelli di Tom Hunting, uno dei migliori drummers della scena thrash metal. Pregevoli anche gli assoli di chitarra. “My Last Nerve” è un mid tempo creato per l’headbanging più selvaggio, sulla falsariga di “Black List” (da “Tempo Of The Damned”). Decisamente più arrembante l’inizio di “Numb”, un assalto frontale con Souza mattatore assoluto. “Honor Killings” alterna ritmiche spezza ossa a mid tempo con cori anthemici. Spettacolari anche in questo frangente gli assoli, tecnici e lancinanti allo stesso tempo. La conclusiva “Food For The Worms” è isterica, puro thrash metal senza concessioni a modernismi o melodie; molto bello il rallentamento centrale, un mid tempo quadrato per far respirare l’ascoltatore prima della botta finale. Un album che sancisce il perfetto equilibrio tra l’aggressività e la maturità stilistica. Un must per ogni amante del thrash metal.
(Matteo Piotto) Voto: 9/10