(A Sad Sadness Song/ATMF) Terzo album per questa oscura band italiana. Terza rappresentazione tetra di umani sentimenti, questa volta torturati da una vita circondata da altri esseri umani, rinchiusi nelle vastità prive di anima delle moderne grandi città. Tutto sembra comodo, tutto sembra vicino, la solitudine sembra una utopia, ma la verità risiede in un concetto di frivolezza delle relazioni umane, di mancanza di altruismo, una sintesi di egoismo che rende la vita piena di illusioni le quali, sotto un’apparente luminosità, celano grigiore, decadenza, negazione della speranza, fino all’assurdo isolamento che sta alla base di una solitudine enorme, quasi forzata, decisamente inflitta. Musicalmente rimaniamo in territori post-black, con riferimenti DSBM, anche se ormai la direzione è marcatamente avant-garde; come per i due album precedenti le sonorità estreme si rifanno alla scuola black francese, ma il nuovo album è -per quanto possa sembrare contraddittorio- più lumioso, grazie a momenti introspettivi poetici, dolci, delicati. L’introduzione e l’apertura del primo brano, “Once, My Home”, confermano subito questo evoluzione, descrivendo orribili sensazioni con musica pregna di speranza, quella speranza destinata a morire che si manifesta irregolarmente agli albori della depressione. Tutto l’album offre questi geniali cambi tra momenti estremi, caratterizzati da un pregevole black metal, e momenti dalla ricca intensità emozionale nei quali emergono arpeggi, passaggi atmosferici, tastiere, riff impostati sul tremolo dal feeling meravigliosamente disperato. “When The Sun Was Warming My Heart” contiene una melodia di base dolce, oscuramente romantica, ma sferzata una intensa rabbia, che sa interrompersi con arpeggi tetri che generano ansia. La disperazione tipica del DSBM emerge con la title track. Epica e profonda “An Emptiness Full Of You”, un brano caratterizzato da un intermezzo di pianoforte che porta ad un crescendo favoloso. Possente e teatrale “Leaves In The Wind”, con un’intensa sezione corale che accresce quella sensazione di oscura luminosità percepibile in tutto il disco. Crudele ma con deviazioni cosmiche “Consumed Soul”, prima della conclusiva “Holding Nothing”, una canzone che dal brutale arriva ad un epico dissolto in un contesto folk inquinato dal post black. Ormai i Falaise escono dalla ovvia e facile classificazione. Certo, generalizzando siamo decisamente nell’ambito black metal, ma guardando con attenzione, ascoltando con passione, è palese che questo album risulta impossibile da collocare in modo chiaro in quanto annega, in una indole black metal, infiniti elementi post-black, epici, scenografici, atmosferici e, non ultimi, folk. Tutti questi elementi convivono, si affiancano, si supportano, creano una nuova dimensione la quale eccelle, con grandiosa efficacia, nell’esaltare i sentimenti malati, le crisi esistenziali, il senso di soffocamento e le moderne forme di pazzia contenute nella tematica dell’album stesso: secondo il mio punto di vista, quando varie componenti lavorano in sublime simbiosi per dare un solo unico e condiviso risultato, vuol dire che stiamo parlando di arte nella sua più pura ed incontaminata forma.
(Luca Zakk) Voto: 9/10