(Trollzorn Records) Sublime pezzo di arte quanto di sapienza e voglia di osare. Venti anni, sei album e ad oggi con “Judasmesse”, una rilettura del symphonic metal e del black metal, dimostrando quanto il proprio avantgarde superi ogni schema. La band della Turingia sprigiona circa un’ora di musica, scatenando nel primo terzo di essa una variopinta gamma di soluzioni nelle quali elementi symphonic metal si interpongono tra acute e folli soluzioni metal. Anche se non attraverso una similitudine musicale e di stile, ma al massimo per una vicinanza concettuale, i Fjoergyn rievocano l’estrosità dei primi Bethlehem. Un guazzabuglio di cose, di metal certo, sia esso black, estremo o anche doom o addirittura dark, le quali trovano uno sviluppo consequenziale e mai forzato. La parte centrale di questo a“Judasmesse” un po’ standardizza la band. Non emergono infatti composizioni epocali, ma il suonare è volitivo, abbastanza oscuro e forse sperimentale in certi momenti. L’ultimo terzo di “Judasmesse” è una prosecuzione della sua parte centrale ma con un’ispirazione epica e narrativa, dunque sia cantata o strumentale e sia dal lato metal e dark quanto da quello sinfonico, di molto superiore. I tedeschi a momenti diventano apocalittici e maestosi, come in “Non Serviam” dove toccano più punte di stile prima di congedarsi attraverso un’altra composizione superlativa e un po’ progressive che è “Warfaiin”. Torniamo però all’inizio, la sconvolgente e demoniaca opener “Sturz”, l’infernale “Kain” e il tocco del sassofono, di sintetizzatori aggraziati e di una chitrra neo-floydiana in “Komm Abel lass uns aufs Feld gehen”, rappresentano appunto quel terzo di un tutto che rivolta ogni certezza o comprensione dell’ascoltatore. “Juidasmesse” è un’opera.
(Alberto Vitale) Voto: 9/10