(Peaceville) Con i redivivi Fleurety bisogna aprire il libro di storia. Norvegesi, attivi dal 1991 e quindi quasi ovviamente appartenenti al filone black metal. Sono in due, Svein ed Alxander, quest’ultimo inizialmente impegnato alla voce, prima di dover mollare e passare il microfono al collega a causa di un danno alle corde vocali manifestatosi proprio cantando (epoca dell’EP “A Darker Shade of Evil”). Quindi i due album precedenti sono tutti cantati da Svein… ma stiamo parlando di soli due dischi, importanti, simbolici, ma solo due dischi usciti tanto tempo fa e pure a cinque anni di distanza l’un l’altro (1995 e 2000, e dentro questo range Alexander è stato anche live sessionist alla chitarra dei Mayhem… diventandone poi membro ufficiale, prima di mollare a causa di un trasloco in Inghilterra). Poi il silenzio, tranne qualche EP ed una… diciamo patetica compilation. Dopo quasi due decenni, quindi, un ritorno per certi versi inaspettato specialmente per una band così strana che dagli inizi ha sperimentato un abbandono delle radici black a favore di una totale direzione avantgarde, ricca di dettagli e aspetti progressive di alto livello. Cosa è, quindi, questo “The White Death”? È oscurità. Tanta oscurità. È viaggio introspettivo. È progressive e pure folk in alcuni bui e reconditi momenti della riproduzione. “The White Death” è nervosa. C’è growl. C’è voce femminile. Pure un flauto. Tempi dispari. Tematiche ambientali e remotamente jazz. È il riassunto del ‘non genere’ di due menti che -è innegabile- risultano dannatamente geniali. Piccolo capolavoro “The Ballad of Corpernicus”: oscura, con un riffing grintoso relegato nel fondo, un clean vocals tuonante e teatrale. “Lament of the Optimist” è schizoide, nervosa, black ma anche industrial… senza dimenticare idee noise… con un generale feeling di totale sarcasmo. Stranezze emergono con “Trauma”, quasi un intro, poi spoken vocals femminili prima di un miscuglio dei due fattori in un contesto blast beat. “The Science of Normality” è irregolare, imprevedibile, assurdamente blues, perversamente deviata (mi ricorda cose dei Siculicidium)… e di ‘Normality’ non ha assolutamente nulla. Provocante “Ambitions of the Dead”: riflessiva, riffing metal, voce angelica, ritmi rilassati per un coinvolgimento totale prima della conclusiva “Ritual of Light and Taxidermy”, sette minuti di fantastica malattia mentale, deliziosa assurdità e sarcasmo profondamente oscuro. I Fleurety occupano con prepotenza quel limbo di stranezze artistiche e si trovano in compagnia di acts quali Ved Buens Ende e Vulture Industries. “The White Death” è un album complesso, ricco di sorprese, svolte, situazioni improvvise. Abbraccia una vastità tale di generi da definire forse un genere proprio… oppure negare l’esistenza stessa dei generi. Un po’ di follia, mente aperta e gusto per la mancanza di luce sono i presupposti per godere al massimo di questi eccentrici tre quarti d’ora.
(Luca Zakk) Voto: 8/10