(This Is Core) Tanti synth per estendere il suono e un batterista su di giri, anfetaminico, sono i tratti salienti dei Forbidden Season. Per loro si potrebbe parlare di metalcore di taglio sinfonico, con elementi futuribili e qualche intermittenza djent metal. “Atlantis” è entusiasmante per come apre l’album. Canzone scorrevole, ritornello ben assestato. Poi però “Promise” prende un percorso non sempre liscio. Piacciono le armonizzazioni di “Keys and Locks” e di poche altre rintracciabili nell’album, dove tuttavia il grigiore, l’atmosfera intossicata del futuro grava pesantemente. Le impennate post hardcore presentano un messaggio musicale duro, incattivito anche dalla voce di Mark Seasons che passa attraverso una gamma vocale compresa tra clean e growl. Ritornelli e strofe doppiate da timbri di voce diversi a tratti non sortiscono un buon effetto, a causa della loro forma ripetitiva. C’è un clima claustrofobico in “Promise”, un’oscurità permanente e in più la necessità da parte dei Forbidden Seasons di evidenziare il ritmo, l’elemento che percorre prepotentemente i pezzi e che troppe volte ha la meglio sul riffing. L’effetto stoppato, cadenzato delle chitarre, esaltato dalle continue rullate e colpi ossessivi, è ampiamente usato nelle canzoni, dunque bisogna attendere i ritornelli e prestare attenzione ai synth per avere frazioni melodiche. Il continuo incalzare delle chitarre, le opprimenti rullate, le distorsioni vocali e le sue impennate, si sommano continuamente, avvolte da una patina di circuiti e da una produzione che estende la propria coltre su tutto.
(Alberto Vitale) Voto: 6/10