copfreedomcall3(Steamhammer/Audioglobe) Odio coloro che parlano male dei Freedom Call per partito preso. Li odierei anche se i tedeschi non fossero una delle mie band preferite. Vi danno fastidio perché sono troppo allegri nelle melodie e nell’atteggiamento? Beh, si chiama happy power metal, io vengo forse a rompervi perché i Marduk o i Dark Funeral sono troppo tristi o incazzati? Mi dite che fanno sempre la stessa musica? Posso nominare senza problemi duecento bands metal in un minuto, ma di queste credo che al massimo tre o quattro si siano radicalmente rinnovate nel corso della propria carriera… se condannate i Freedom Call dovete buttare la scena metal in blocco! Mi spiace ma mi sento senza problemi più oggettivo di voi: su portali del passato ho detto chiaramente quando un loro disco mi sembrava meno ispirato (nella loro discografia ne conto due: “The Circle of Life” e “Legend of the Shadowking”), e su MetalHead (QUI) ho detto ancor più chiaramente che l’ultimo “Land of the Crimson Dawn” andava alla grande. Anche “Beyond” funziona senza problemi, nel confermare una formula rodata che vive tutta di grandi refrain, della bella voce di Chris Bay, e di tanta ‘joie de vivre’ antidepressiva. Poi se vi esaltate con gli Ahab o i Dark Sanctuary non devo certo dirvi io che questo non è il vostro disco! L’opener “Union of the Strong” ha comunque una certa carica epica, che risiede soprattutto nei cori potenti; “Knights of Taragon” piazza subito le ‘trombette’ tanto caratteristiche del sound, mentre “Heart of a Warrior” ha quella carica quasi hard rock che ha tanto allargato (almeno in Germania) il pubblico dei Callers – sulla stessa linea si muove anche “Journey into Wonderland”. “Come on Home” è forse troppo simile a “Power and Glory”, ma il chorus è irresistibile; anche “Follow your Heart” ricorda un po’ troppo da vicino (sempre per il discorso dell’onestà di cui sopra) la vecchia “Hunting High and Low”. La titletrack è invece un mid-tempo pomposo di quasi otto minuti, con un altro killer refrain e qualche passaggio più ‘serio’. Speed/power genuino, stile scuola di Amburgo, per “Edge of the Ocean”, mentre “Dance off the Devil” si concede inattesi tribalismi africani dal vago sapore world music, cui si affianca addirittura un rapido passaggio di folk irlandese. Altro grande ritornello per “Paladin”; si chiude come da tradizione con il pezzo più ingenuo e caciarone (e ancora una volta pieno di cornamuse), che stavolta si intitola “Beyond Eternity”. Circa un’ora di musica divertente, energetica, scacciapensieri e – soprattutto – ben scritta: se dovete deprimervi o sparlare a scatola chiusa, per favore andatelo a fare da un’altra parte!

(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10