(Steamhammer/SPV) A differenza di molti colleghi trovo i Freedom Call veramente simpatici. Un po’ perché ci hanno regalato, soprattutto con i primi tre dischi, grandissimo power metal; un po’ perché, con una ironia garbata, vanno contro il cliché del metallaro torvo ed eternamente incazzato; e anche perché in certe giornate la loro musica zuccherina, ariosa e sopra le righe è quello che serve per arrivare a sera… La loro carriera, per quel che mi riguarda, ha conosciuto molti alti (i primi tre dischi di cui si è già detto, con “Eternity” in testa, poi forse in tempi recenti il migliore è “Land of the crimson Dawn”) e un paio di passi falsi (“The Circle of Life” e “Legend of the Shadowking”); nel mezzo collocherei le ultime due uscite, “Beyond” e “Master of Light”. Alla luce di questa disamina, “M.E.T.A.L.” è forse il prodotto meno convincente di tutta la loro discografia: minutaggio contenuto (undici brani per 43 minuti, il che significa che nessuno supera i 4’); nessun pezzo di spessore (non dico una “The Quest”, ma almeno una “Blackened Sun” o una “Beyond”); riciclo sfrenato di parole dei testi, temi musicali del passato, fraseggi e melodie. Sia chiaro, è tutto in ordine: abbiamo l’inno da stadio (la titletrack), il singolo con melodia vincente e video ironico (“111 – The Number of the Angels”), la canzone che farà sognare chi ama gli Helloween del passato (“Ronin”), l’agile cavalcata iperpositiva (“Ace of the Unicorn”), il pezzo per unire fans e band (“Fly with us”). Però stavolta è davvero tutto troppo esile, standardizzato e già sentito. Pazienza: il valore di Chris Bay e soci è fuori discussione, dal vivo restano godibili, e forse ha pesato anche l’ennesimo cambio di formazione. A presto ragazzi, vi rivogliamo al livello di cui siete capaci!
(René Urkus) Voto: 6,5/10