(Loma Vista/Republic Rec) La band di Linköping, Svezia, ha guadagnato notorietà per l’immagine molto particolare che propone di se. I Ghost si esibiscono con abiti talari, maschere macabre e cappucci, scenografie misteriose, croci rovesciate, nomi dei singoli occultati. Il nuovo cantante si chiama come il precedente, ma ha aggiunto II a Papa Emeritus. Per i Ghost ci sono stati tour in USA, un debut album e successivamente ha bussato alla loro porta una major mondiale come la Universal che li ha scritturati attraverso un’etichetta satellite. Fatto il grande passo, il secondo lavoro dei Ghost mi ha dato l’impressione di essere un equivoco, per loro stessi. Mi spiego. Si passa da canzoni dall’impronta heavy metal, diciamo alla King Diamind e Mercyful Fate, tipo “Per Aspera Ad Inferi” e “Body and Blood”, a sonorità rock old style come “Monstrance Clock” e a brani che riprendono il tipico rock inglese ultimi anni ’60 e primi ‘70, di conseguenza canzoni come “Jigolo Are Megiddo” sembrano i Move con suoni più duri, o “Idolatrine” che ricorda gli Uriah Heep. Per non parlare di “Ghuleh/Zombie Queen, un buon pezzo se non fosse per il fatto che è una riproposizione di cliché dei ’60-’70. C’è anche del goth rock con “Secular Haze”, ma è inspiegabile “Year Zero” in cui i ritornelli con cori di tipo occult rock, solenni e sacri, fanno da contrasto ad un pezzo quasi ballabile. Se il Papa si esibisce al microfono con tonalità che sanno entrare bene nei vari pezzi e nel loro clima di stile, se le tastiere inseriscono il giusto solenne, ampolloso e torbido pathos alle canzoni, è pur vero che il drumming è fin troppo essenziale, anzi povero. Salvo però il bassista sicuramente più estroso, e le chitarre propongono buoni spunti, ma incappano in una serie di soluzioni che non sempre sono toniche, di tipo metal oppure sono troppo parodistiche per sembrare un old style suonato con freschezza. A volte non si capisce se i Ghost abbiano voglia di riprodurre e divertirsi con sonorità vecchio stampo, oppure se la loro capacità compositiva (i pezzi sono sommariamente ben distinti tra loro) non riesce ad andare verso soluzioni più personali. Questo è l’equivoco e la mia impressione dominante è di sentire in giro qualcosa di grossolano o semplicemente di non compiuto; “Infestissumam” è un lavoro che definirei di revival e niente di più. Sicuramente ascoltabile, immediato, ma di revival.
(Alberto Vitale) Voto: 6/10