(Crazysane Records) Dietro una copertina troppo vintage, troppo antica, poco (o troppo?) impattante…. dietro un’immagine da bravi ragazzi ben vestiti, si cela un trio strumentale che scolpisce nell’etere il puro groove, un groove psichedelico, un po’ etnico, quasi un incrocio assurdo tra prog rock d’annata, dosi immense di acidi e… guarda un po’, sonorità di band quali i Khruangbin! Otto brani pungenti, che inglobano anche -per chi se ne intende- sonorità etno soft rock di Kikagaku Moyo, il libertinaggio stilistico della The Budos Band o, andando indietro nel tempo, dei The Meters. Ma i Goblyns iniettano nella loto musica dosi di swing, emozioni jazz (“Electric Shadow” lo dimostra), non dimenticano i fiati… eccoli in “Bobo”, accompagnati da arpeggi ampi, riff ed accordi a-là Chris Isaak, il tutto dentro un pulsare quasi stoner. Ipnotica e sensuale “Sakura”, progressiva “Great Hunger”, irresistibile “Muti”. “The Gardner” fa viaggiare lontano, con il corpo e con la mente, il groove diventa monumentale con “Little Hunger”, mentre la conclusiva ”Donnerblitz” intensifica l’acidità, senza dimenticare disegni melodici tanto ricercati quanto diretti e penetranti. Provenienti da Germania e Olanda, da Berlino e Amsterdam, dispersi da qualche parte in Sud Africa, instabilmente ubicati tra terra e cosmo, tra realtà e allucinazione, tra questa e le altre dimensioni, i Goblyn non suonano, piuttosto dipingono suoni su una tela immensa fatta di etere, di atmosfera e di assenza della stessa; una tela fatta di emozioni, un dipinto musicale sferzato da pennellate rock, arricchito da ricami prog & jazz, reso eccitante da etnie senza confini ed accecante da un infinito caleidoscopio psichedelico.
(Luca Zakk) Voto: 9/10