(Napalm Records) Tra i grandi a tracciare il solco del post rock da poco oltre vent’anni però con un suonare spesso algido. Grandi melodie, architetture scorrevoli con fasi che si tuffano in successive con delicatezza ma attraverso dinamismo. Sempre con una sistematicità levigata, curata ma straniante, un po’ fredda insomma. Non banali, rigorosamente legati a composizioni strumentali. Questo sono i God Is An Astronaut ora al dodicesimo album che potrebbe essere spiazzante come altri della band, la quale ha ormai detto cosa ha intenzione di suonare. Nessuna novità ma una qualità, un grado della fruibilità delle trame e percorsi melodici di gran livello. “Embers” è il prodotto di una band meno evasiva del previsto. C’è un po’ di delicatezza, qualche spunto più leggero del solito e poi queste trame rigorosamente strumentali che si inerpicano con parsimonia, fino poi a esplodere in situazioni anche esotiche, come in “Apparition” e dunque in “Odyssey”. C’è il solito altalenare di un prog tra psichedelia, come in “Oscillation”, ambient e atmosfere però con meno malinconia che d’abitudine. Di questi tempi “Embers” è un piccolo manifesto di equilibrio e sguardo all’avvenire. Le melodie degli irlandesi sono invitanti, un continuo andare via da situazioni profondamente contemplative e infine esplodere in gioia o sognanti orizzonti. La band sembra sottrarre evitando il troppo e lasciare che melodie e sequenze di note possano susseguirsi. Magari con raffinatezza, come in “Heart Of Roots”. Grande spazio alla creatività dei suoni. Non solo dal punto di vista degli effetti, ma anche nello scegliere chitarre acustiche oppure elettriche non distorte, per sentire quelle corde di metallo ben tese e tintinnanti, schioccanti.
(Alberto Vitale) Voto: 8/10