(Napalm Records) È il decimo album degli irlandesi in diciannove anni e ancora una volta il loro prodotto è un lungo paesaggio sonoro. La post rock band – che nei suoni sembra sempre meno post! – ha da sempre creato delle composizioni che si incastrarebbero perfettamente come una possibile colonna sonora. Il materiarle sonoro dell’album è tipicamente God Is An Astronaut, ovvero un calderone d’atmosfere ribollenti che avviluppano in maniera completa l’ascoltatore. Torsten Kinsella, chitarra e tastiere, con il fratello e bassista Niels e l’altro chitarrista e anche lui tastierista Jamie Dean, costruiscono trame, riff, progressioni e con l’assistenza ad un inquadramento generale e di rinforzo dei loro accordi e feedback da parte del batterista Lloyd Hanney. Il quartetto si dimostra nuovamente ispirato, proponendo brani rigorosamente strumentali e dal taglio impetuoso con inevitabili rimandi psichedelici. Se da qualche anno la band raccoglie giudizi che dichiarano una ripetitività nel suo comunque valido suonare, al contempo non mancano voci che dissentono, le quali pur riconoscendo un canovaccio noto nel suonare dei GIAA, ritengono vi siano novità. La verità forse è tra queste due posizioni, si potrebbe salomonicamente dire e del resto sono due posizioni che partono entrambe da due assunti dandovi però un valore inverso. “Ghost Tapes #10” insiste coun sua procedura totalmente strumentale, un’abitudine che continua a definire i pezzi come una concreta colonna sonora a un qualcosa, presentando certi momenti memorabili, fulminanti che non sempre si ripetono o si trasferiscono lungo tutto l’arco del singolo brano nel quale maturano. I diversi minutaggi, siamo a meno di quattro minuti per la sola ed eccellente “Luminous Waves”, ai circa sette dell’opener “Adrift”, un brano forse troppo lungo, rendono ogni pezzo un accompagnamento comunque lineare e con poche inflessioni di sostanza al fluire delle melodie. L’atmosfera è sempre la stessa, poche le variazioni e le differenze tra i brani sembrano basarsi sul loro aspetto, cioè allegro, epico, struggente e così via. Le sette composizioni diventano un piano sequenza di emozioni un tantino accelerato. Proprio la conclusiva “Luminous Waves” abbassa i toni e rompe questo ‘tumulto’ che si ripete quasi in ogni pezzo. “In Flux” gioca su sfumature più tenui e con un suo climax centrale e finale, solo che quel climax somiglia a tutti gli altri.
(Alberto Vitale) Voto: 7/10