(Sliptrick Records) Piccola perla del metallo tricolore, “Simphony of Pain” suonava fresco nell’Anno Domini 1992 come oggi. Non me ne vogliano i seguaci di Jon Nödtveidt, ma prendo a paragone il capolavoro “The Somberlain” per dare un’idea di ciò che abbiamo di fronte. Esagerato? Nemmeno per sogno. Il punto è sempre il solito: se i Gravestone fossero nati in America ora sarebbero di fianco ai grandi del genere. Ma fortunatamente il music business non ha mai intaccato le scelte musicali dei nostri. Il disco si apre con un’intro tranquillissima che non lascia trasparire nulla del delirio sonoro imminente. Le danze sono aperte da “The Children Are Waiting”. Le chitarre corrono su una sinfonia nervosa e veloce, la voce gutturale e maligna. E poi i riff: precisi, taglienti come una lama di rasoio. Batteria e basso a comporre un reparto ritmico portentoso. Sembra impossibile che l’album abbia 20 anni, eppure… Le successive “Empty Words” e “Human Vivisection” sono un intricato agglomerato di suoni infernali, coadiuvati da toni epici ed evocativi di tastiera (ricordiamo che siamo nel ’92…), richiami al prog settantiano, assoli quasi Stoner e inserti jazz. Come si può ben capire la carne al fuoco è tanta. Le contaminazioni settantiane stile Opeth continuano con “The Deathwish”. Il capolavoro si chiude con “Corpse Embodiment”, una lezione di scuola Death con richiami del… Banco del Mutuo Soccorso!!! Insomma, se ancora non vi è chiaro questo album è un capolavoro. Questa re-issue del 1994 non si merita il voto pieno perché aspetto il bis del gruppo romano appena riformatosi. Inarrivabili.
(Enrico Burzum Pauletto) Voto: 9,5/10