(Soulseller Records) “Il diritto divino dei re”, un titolo importante, usato per marchiare la seconda opera di questa band britannica che è stata educata a Black Sabbath, Blue Cheer, Uriah Heep e cose simili. Doom/stoner affinato con il rock anni ’70, il quale non va oltre ciò che già siamo soliti sentire nell’ambito del genere, ma l’armonia e lo stile dei Groan è davvero intenso, accattivante e con alcuni toni esoterici e accorati. “Dissolution” ne è un magnifico esempio di come riescano ad ipnotizzare l’ascoltatore. Qualche episodio delude, bisogna scriverlo, per esempio “Atomic Prophets” e il suo essere completamente sabbathiano e senza metterci dentro qualcosa di proprio. Certo i Sabbath sono onnipresenti, è ovvio, ma vuoi mettere quando i riff sono “alla” e non “come” i Black Sabbath, cioè somiglianti ma non spudorati, come in “How Black Was Our Sabbath” e il suo andare più heavy che altro e qualcosa di simile vale anche per la title track. “Magic Man” è un treno lanciato, sa tanto di rock, più che di heavy, mentre “Sacrifical Virgins” mi ha ricordato gli Orange Goblin. “The Divine Right of Kings” è una nuova conferma di come i Groan mettano insieme rock, doom e stoner e per adesso alternando l’orientamento dei singoli pezzi verso i suddetti generi. Poche ancora le fusioni perfette (la già citata “Dissolution”) e poi c’è il cantato spiritato di Mazzereth il quale non è sempre impeccabile perché tende ad andare sempre su tonalità elevate e non sempre sono per la sua ugola, ma il suo timbro contribuisce sensibilmente a creare l’atmosfera uggiosa di questo album comunque piacevole.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10