(Gain Music / Sony) Band ormai storica, navigata, cattiva, sfacciata, completamente fuori di testa! Da quando sono in giro? Ormai sono quasi vent’anni, compresa la piccola pausa tra “No Regrets” e “Hardcore Superstar”. Vantano un numero ampio di seguaci che li adorano, che amano il loro hard rock poderoso, ribelle, pieno di sonorità marcatamente heavy, con una buona dose di personalità e grinta. “HCSS”, praticamente il secondo album della discografia definibile omonimo, nasce da registrazioni risalenti agli esordi, un demo del 1994 il quale -forse per un ritorno odierno di certe sonorità antiche- è apparso subito potente e veramente valido. Materiale che è stato evoluto, aggiornato… e che è esattamente questo “HCSS”. I quaranta cinque minuti scorrono divertenti, esplosivi, con una buona dose di energia e di rabbia. Apre “Don’t Mean Shit”, pezzo con radici punk iniettate da concetti moderni, melodia, ed un ritornello perfetto. “Party Till I’m Gone” è molto ben costruita, spensierata, incalzante e, come la precedente, rivela la naturale attitudine della band svedese. Diversa, quasi vintage, la coinvolgente “The Cemetary” seguita dalla bellissima “Off With Their Head”, già resa nota con il recente lyric video, dove il singer si scatena con energia sopra tre minuti e mezzo di hard rock energetico ed esplosivo. “Fly” è una specie di ballad, un po’ psichedelica, veramente molto vintage con un ritornello imponente e veramente ben fatto, mentre “The Ocean” è esplosione pura, nervosismo, musica che ringhia e graffia fino a sfociare su “Touch The Sky” -la mia preferita- un qualcosa di assurdo e fuori dalle regole: un rock quasi pop, quasi beat, con il cantante che a volte sembra una versione tossica di Sting e quel riff che è quasi un irrinunciabile rumore di fondo. Rabbia con “Growing Old”, energia con “Glue” e un vero pugno in faccia la conclusiva “Messed Up For Sure”. Album sincero, certamente non commerciale, naturale, spontaneo. Forse il più “hardcore” della loro discografia!
(Luca Zakk) Voto: 7/10