(autoproduzione) Diciassette anni di attività nei dintorni di Milano, un album e un EP, cioè “Playng Hard” del 2012 e “Unbearable” del 2016. Sono gli aspetti salienti nella biografia della band che realizza il secondo album, espressione di un misto tra hard rock e heavy metal, il tutto attraverso una chiave contemporanea. Autoprodotto, con suoni sommariamente calibrati, “Modern Slavery” rappresenta un’onesta tirata tra i territori musicali summenzionati Trentatré minuti di pura chitarra distorta, ritmi adrenalinici e con qualche influenza sparsa eppure utile a rendere il sound più strutturato. Apprezzabili i momenti solisti di Domenico Santoro che arricchiscono sistematicamente i brani. La voce è di Marco Maraschi, qualcuno che permette alla band di completare quella sua naturale e fisiologica appartenenza all’hard & heavy di scuola. Atmosfere alla Rainbow, qualche refrain alla Iron Maiden, per un filo conduttore di puro heavy metal che attraversa l’album. Gli High Speed Dirt realizzano una specie di biglietto da visita, arrangiandosi bene con mezzi propri e tuttavia con una guida esperta accanto potrebbero rendere anche di più. Nonostante poi la lunga attività della band è la conferma di una passione che si porta avanti in maniera sincera e autentica.
(Alberto Vitale) Voto: 6,5/10