(Mausoleum Records) Debut album per gli Hollywood Monsters, progetto del cantante e polistrumentista Francese Steph Honde. Il genere proposto è un hard rock classico che affonda le sue radici negli anni ’70 e per l’occasione si avvale della collaborazione di alcuni mostri sacri del genere come Vinny Appice (Black Sabbath, Dio), Don Airey (Deep Purple, Whitesnake, Ozzy tra gli altri) e Paul Di’Anno, storico cantante (per molti IL cantante) degli Iron Maiden. Dopo il breve intro “Another Day In Grey – Pt. 1”, un riff incalzante di chitarra apre “Move On”, caratterizzata da una melodia vocale diretta e da un chorus catchy; sugli scudi le partiture di hammond a opera di Don Airey. La title track è più anthemica, i ritmi si fanno cadenzati e la voce di Steph Honde è calda e rauca. Un arpeggio di chitarra acustica apre “The Only Way”, brano che parte come una ballad per poi sfociare in una cavalcata terzinata, in un continuo alternarsi di parti acustiche ad altre più heavy. Chitarre acustiche anche in apertura di “The Cage”, canzone molto tecnica nonostante la sua immediatezza, caratterizzata dalla sei corde che spadroneggia sia nelle parti pulite sia in quelle distorte. Non a caso Steph Honde è un virtuoso della chitarra; nonostante ciò non si limita a freddi esercizi di tecnica fine a se stessi, ma presta una particolare attenzione agli arrangiamenti e alla forma canzone. Un esempio di quanto appena detto è “The Ocean”, caratterizzata da riffs molto particolari di chitarra acustica accompagnata da orchestrazioni che ricordano alcune cose di Kip Winger solista. “Oh Boy!” è una ballad pianistica resa potente dal ritornello dai connotati epici. Ottimo l’assolo di chitarra verso fine brano. Si torna all’hard rock con la potente “Underground”, dal riffing sabbathiano e parti stoppate. “Village Of The Damned” è il punto d’incontro ideale tra l’oscurità dei Black Sabbath e ,le sonorità dei Deep Purple. “Song For A Fool” è un blues pianistico caratterizzato dalla stupenda voce di Steph Honde e da un suono di batteria pesantissimo ad Opera di Emmanuel Lammic, dotato di un tocco alquanto marcato. La conclusiva “Fuck You All” è il brano più heavy dell’album e vede dietro al microfono Paul Di’Anno. Il brano in se non è male, anche se inferiore al livello qualitativo medio dell’album. La timbrica di Paul è inconfondibile e la canzone è piuttosto immediata ma anche un po’ ripetitiva. Da uno dei miei idoli incontrastati mi sarei aspettato qualcosa di più. Capita spesso che i progetti dove sono riuniti molti mostri sacri falliscano miseramente facendo leva più sul richiamo dei personaggi che sulla qualità delle canzoni. In questo caso non è così: l’album brilla di luce propria e ogni brano ha una propria personalità. La tecnica e l’inventiva sono state messe per una volta al servizio delle canzoni.
(Matteo Piotto) Voto: 8,5/10