(Steamhammer / SPV) Attivi dal 1980, gli Holy Moses possono annoverarsi tra le bands che hanno contribuito alla nascita e crescita del thrash metal teutonico accanto a nomi storici come Sodom, Kreator, Destruction e Tankard. Tra le caratteristiche principali vi è la presenza alla voce di Sabina Classen, una delle prime donne ad usare il growl, stile poi ripreso da altre front women come, ad esempio Angela Gossow. L’aggressiva “Hellhound” apre l’album con riff che ricorda da vicino i Testament di “The Gathering”, un thrash metal old style valorizzato da una produzione moderna e da una preparazione tecnica ottimale da parte dei musicisti. Un bell’assolo di chitarra seguito da un riff furioso e dalla voce rabbiosa di Sabina distinguono “Triggered”, brano caratterizzato anch’esso da un sound vicino ai Testament. “Undead Dogs” rallenta momentaneamente il ritmo. Si tratta di un mid tempo molto cadenzato e pesante, una manna per gli headbangers. “Into The Dark” è introdotta da un arpeggio lento e malinconico che lascia presto il posto ad un riff cadenzato in crescendo, fino all’accelerazione rabbiosa nel finale. Pregevoli gli assoli che si susseguono in “Sacred Sorrow”, canzone che in alcune parti mi ricorda certe cose degli Exodus. Molto particolare si rivela “Process Of Projection”, che parte velocissima e con la voce di Sabina più incazzata che mai. Il ritornello è cadenzato e rallentato, sembra quasi una marcetta militare, per poi ripartire col riff iniziale. “Fading Reality” ha un incedere più vicino al death metal melodico, con molte armonizzazioni e la voce in screaming. Un riff semplice quasi punk caratterizza “Liars”, molto vicina a certe cose dei Sodom di “Get What You Deserve”. La successiva “RedemptionOf The Shattered” è una fucilata, caratterizzata da un riffing slayeriano e dalla batteria martellante, fino al rallentamento melodico verso la fine. Più quadrata e classicamente thrash è “Whet The Knife”, mid tempo roccioso e cadenzato sul quale spicca la voce rauca e arrabbiata di Sabina. “Delusion” è sulla falsariga della precedente, ulteriormente rallentata e dal ritornello anthemico, vicino al metal classico. Un arpeggio lento e cupo apre “One Step Ahead Of Death”, canzone che si evolve in un altro mid tempo dal riffing stoppato, anche questo dal sapore classic metal. L’album si chiude con la breve e velocissima “The Dirt”, un pezzo in stile punk core, ottima per conclusione per questo disco. Un ottimo lavoro per una band che ha contribuito a costituire le coordinate del thrash metal Tedesco, sapendo miscelare il classico stile anni ’80 e influenze più vicine ai giorni nostri.
(Matteo Piotto) Voto: 7/10