(W.T.C.Productions) La Finlandia è una specie di inferno o, per la precisione, un suo girone… quello nel quale la lussuria diventa malvagità, dove c’è una dissacrante promiscuità che altro non fa che innalzare l’adorazione per il male più assoluto. Gli Horna giungono al decimo album, con una line-up stabile ormai da qualche anno, almeno per quanto riguarda il fondatore Shatraug e quel pazzo di Spellgoth, il vocalist. Ma in questa Finlandia, quella della musica estrema o oscura, tutto si riassume in un’unica entità maligna, nella quale tutto è condiviso: non solo Shatraug è impegnato in altri svariati progetti, solisti o meno (Sargeist, Necroslut, Vordr, Striges, Finnentum, Gandr, Hoath, Mortualia ed altri, senza dimenticare le tante bands delle quali ha fatto parte), ma anche il frontman Spellgoth si concede molto in giro, visto che milita assieme ad altri animali in bands quali Prevalent Resistance, Trollheims Grott o Grieve. Il chitarrista Infection è anche negli Ajattara e nei Bythos, mentre le new entry rispetto al precedente disco, ovvero LHR al basso e VnoM alla batteria, vagano nelle tenebre sferzate da molteplici altri adoratori del diavolo, nomi quali Deathchain. Trollheims Grott, Striges e Phlegein, Hoath o Chamber of Unlight. Con tutto questo miscuglio di forze e di conseguenti impegni, è intuibile che siano passati ben cinque anni dal precedente “Hengen tulet” (recensione qui), anche per una band molto prolifica in questi ormai venticinque o più anni di costante attività. La opener “Saatanan Viha” è black senza fronzoli, anche se il lavoro di chitarre alza il livello complessivo con riff e scelte melodiche incisive, mentre la seguente “Elegia” continua l’esposizione di tale teoria, quasi estendendo la stessa opener in un secondo tragico atto. Drammatica “Uneton”, apparentemente furiosa e lineare “Sydänkuoro”, un pezzo stupendo che sopra ad un drumming ricercato elargisce un mid tempo micidiale il quale evolve verso una impostazione dal remoto sapore folk, in un contesto oscuramente liturgico. Tempi irregolari rendono elettrizzante “Elävänä, Kuolleena”, la quale tuttavia mantiene ferreo il legame con idee marcatamente 90s. Trionfale “Haudattujen Tähtien Yönä”, coinvolgente “Rakas Kuu”, irresistibile il tremolo di “Mustat Vuodet”. Black metal suggestivo con “Veriuhri”, prima di quell’impostazione epica e ritualistica della conclusiva “Ota Minut Vastaan”, canzone con linee di basso intense ed un incedere seducente. Rimanendo negli standard osceni degli Horna, “Kuoleman Kirjo” è disco più riflessivo, più cupo, sicuramente più contemplativo. “Kuoleman Kirjo”: ovvero ‘diverse varianti della morte’, la morte con tutto il suo gelido alito pestilenziale, pregno di odore di putrefazione, di decomposizione, di fine irreversibile: il black metal degli Horna è una dimensione personale. Un black metal che non ha nulla a che vedere con la festa dei blast beat senza compromessi, che non c’entra nulla con il symphonic, l’alternative, l’industrial o chissà quale altre variante reperibile sulla scena. Il black degli Horna è carnale, viscerale, sanguigno. Spirituale in un modo assurdamente provocante e deliziosamente dissacrante!
(Luca Zakk) Voto: 9/10