(Doomentia Records) Formazione scarna questi Horse Latitudes, un batterista e cantante e due bassisti che regolano i propri colpi con una cascata di effetti e controller vari. Nasce, per questo loro secondo album, un doom dalle radici impensabili e dal sound cavernoso, denso, malsano, inquietante. “Awekening” è una casa popolata da fantasmi, costoro altro non sono che band più quotate e note, ma diverse tra loro. Ecco dunque che diventa fondamentale menzionare le tendenze di questo sound che si accosta al drone metal, allo sludge e al doom più puro, disperato e sfigurato dalle sue tendenze possibili. I pezzi sono sei e si dilatano al massimo, comportandosi come una banda bardata a lutto che sfila a seguire la salma di un sovrano caduto in disgrazia. “Preparation” è una sorta di pomposa introduzione, “Dissolution” espone il rollio del basso come nei migliori e seminali Godflesh, ma qui non c’è l’industrial, non c’è la rabbiosa vivacità Justin Broadrick, ma solo la disperata fluenza del doom. “Profane Awakening” è una marcia maledetta, densa, il brano più carico di forza e che meglio espone il concetto di come i due bassi a reggano il sound di questo trio. Poi ci sono “Decline of the Ages”, “Into the Deep”, profonda, mistica, unica cattedrale dell’inferno, e “Alone the Circles”. Il sound è una vibrazione continua, la produzione si limita all’essenziale. Ha un che di povero “Awekening” eppure Harri, Heidi e Vellu sono molto più ricchi interiormente: ogni vibrazione o suono cupo che nasce da un colpo generato all’unisono dai bassi e batteria è una preghiera infinita e disperata. Questi Horse Latitudes mandano in risonanza il cervello.

(Alberto Vitale) Voto: 7/10