(Avantgarde Music) Ci sono due cose che strane in questa release: la prima, a dire il vero, si sintetizza nel dover fare i complimenti a questa etichetta italiana, spesso capace di mettere sotto contratto la crème de la crème del black nordico, alla faccia di molte altre etichette europee o nord europee. La seconda cosa che definirei surreale è questo parlare di debutto per una band come gli Høstsol, un progetto internazionale composto da personaggi i cui nomi andrebbero pronunciati solo con riverenza e devozione: parlo di gente come Cernunnus (Manes, Manii…):, ebbene si, c’è proprio il signor Tor-Helge Skei alle chitarre in questa band, mentre al microfono troviamo un altro elemento unico, ovvero l’iconico Niklas Kvarforth (Shining, Skitliv). Come se non bastasse, il resto della band vede il batterista Rainer Tuomikanto (aka Malakias 6,8) ed il bassista Kalmos (aka Vesa Wahlroos), entrambi militanti nei finlandesi Ajattara! Premesso tutto questo, non ci vuole molto a capire che “Länge Leve Döden” (‘lunga vita alla morte’, ndr) non è solo un lavoro creato da gente che scolpisce i connotati del black metal del nord fin dagli albori, fin dai mitici anni ’90, ma è anche in un certo senso un riassunto della scena estrema scandinava, qui ripresa, sintetizzata e ridipinta non secondo canoni moderni, piuttosto con l’esperienza di decenni di attività e dedizione totale al genere nero. La band non ha nascosto le proprie intenzioni, specificando che il disco è stato composto durante due orribili anni (quelli noti…), dando vita ad un allineamento di cinque (lunghi!) brani i quali celebrano il Signore della Morte tramite il black metal dei primi anni ’90. È proprio quest’ultima dichiarazione che porta volutamente fuori strada… in quanto “Länge Leve Döden”, nonostante si eriga profondamente su quel genere, non contiene solo black di quel periodo, ma riesce ad inglobare altre intelligenti divagazioni, più o meno esplicite, le quali forse appartengono proprio alle carriere dei quattro musicisti, Cernunnus ovviamente in primis, con un palese e creativo contrasto tra il filone norvegese e quello svedese. “As Seen Through the Eyes of the Prophet” apre liturgica, atmosferica, inquietante… ma quando il mid tempo si scatena, esplode un orgasmo sonoro monumentale, nel quale una melodia meno legata al black sferzerà quel drumming pesante e quelle linee di basso seducenti, con Niklas impegnato un una delle migliori performance della sua carriera; il finale va verso una dissolvenza, nuovamente atmosferica, estremamente gelida, in qualche modo legata ad una impostazione siderale… cosa che poi continua con “Det som en gång var (det kommer aldrig igen)”, traccia che poi si abbandona ad un black più veemente, nel quale l’oscurità si intensifica, dando spazio a chitarre taglienti, ad un basso nuovamente superbo e a linee vocali laceranti. Il brano, tuttavia, cambia direzione: ad un certo punto sfida le dissonanze… stringendo poi la mano con il black sinfonico, verso un black più legato ai synth, prima di riproporre un inferno melodico irresistibile, seguito da una nuova e conclusiva parentesi cosmica, dove suoni rarefatti invadono un etere ormai provo di aria respirabile. Sembra siano queste divagazioni ultra terrene a legare i brani, ed infatti anche “Din skördetid är nu kommen” propone una simile ampia introduzione, prima di quei riff pregni di sublime malvagità, stendendo un tappeto rosso a micidiali linee vocali accentate da un basso roccioso, per un brano che alterna mid tempo a infernali blast beat melodici, permettendosi anche una seducente performance solista del bassista. Il pezzo più corposo (oltre 10 minuti), “Länge leve den ansiktslöse mördaren”, si introduce con rituali religiosi catturati in qualche dimenticato ed antico monastero… una spiazzante anteprima ad un assalto frontale tanto viscerale quanto ricco di groove, verso divagazioni sognanti, che con suoni intensi si disperdono in uno scenario naturale sconfinato. In chiusura “Parallellt dubbelliv”, un brano che non si impegna in alcun modo per celare la sua intrinseca crudeltà, la sua ardente e minacciosa impetuosità. Ascoltando il suono carnale, sempre intenso, costantemente passionale, un suono che esalta ogni singolo strumento, ecco la conferma, ovvero un terzo dettaglio che un po’ contrasta con la sottintesa ‘verginità’ della parola ‘debutto’: il favoloso lavoro di mastering firmato dal geniale Andy LaRocque! Lasciatevi andare, fatevi assorbire dai vortici sonori di questa opera e, se siete tra quelli che tirano le somme a fine di ogni anno giudicando i migliori dischi pubblicati, oggi -anche se con dodici mesi di anticipo- potete già riservare un posto in classifica per questo “Länge Leve Döden”! Certo, ne riparleremo sicuramente tra un anno, ma vedrete che avrò avuto ragione!
(Luca Zakk) Voto: 10/10