(Shadow Kingdom Records) Era ora! Finalmente qualcuno che si prende la briga di pubblicare decentemente questo quarto album degli Hour of 13, una band mitica, leggendaria, la quale non ha certo bisogno di tante presentazioni. Dietro le quinte, solo lui, l’introverso Chad Davis, un artista che ha collaborato con dozzine di altre band, oltre che ospitare nel suo progetto vari artisti, tra i quali il grandioso vocalist Phil Swanson (Seamount, Lords of Triumph, Briton Rites, ecc). Ma questo quarto album, uscito indipendentemente l’anno scorso (tra l’altro solo in digitale e disponibile per sole 24 ore!), presenta una svolta: non c’è più Phil, l’ultima sua presenza risale a “333” uscito ormai nove anni fa; negli anni la stabilità della band è sempre stata un qualcosa di imprevedibile (Phil se ne è andato ed è ritornato varie volte), ma ora finalmente il cerchio si chiude, ed ecco che gli Hour of 13 tornano a casa, alla Shadow Kingdom, l’etichetta che pubblicò lo storico album di debutto omonimo nel 2007… molto prima della nascita del culto: “Black Magick Rites” ora esce ancora in digitale, ma anche su CD, ovviamente su vinile e pure su cassetta! Chad, tutto solo, non fa rimpiangere nessuno: la sua voce malinconica, appartenente ad un doom prima che fosse definito ‘doom’, appare provocante, infernalmente invitante e dannatamente inquietante. Nessun vero cambio di direzione, tranne forse qualche divagazione più rock, ma i riff di Chad continuano ad offrire quella spettacolare ossessività, quell’invito delicato all’abbandono, ad una depravazione spirituale, un sentiero ben illuminato che conduce verso le tenebre più sulfuree. Deliziosamente classica, meravigliosamente eterea “His Majesty Of The Wood”, oscura e decadente “Return from the Grave”, anche se supportata da pulsazioni telluriche e coronata da un assolo favoloso. Lenta ed ipnotica “House of Death”, spunti più luminosi e rock sulla title track, mentre si torna ad abissi doom con la lunga “Within the Pentagram”. Vibrazioni sinistre vengono diffuse da “Harvest Night”, mentre la conclusiva “The Mystical Hall of Dreams” trascina dentro catacombe lugubri, insalubri, poi giù, sempre più in basso, verso il male più assoluto. Il Doom. Il vero doom, sia nel suono che nei contenuti. Un costante brivido lungo la schiena, quello che si prova quando delle unghie sporche di terra cimiteriale iniziano a graffiare quell’antica lapide, la quale nel corso dei secoli ha subito impavidamente la tortura degli elementi, quella lapide ormai piegata dalla terra che la sostiene, quella lapide che comunque si rifiuta di scomparire, di cadere, di frantumarsi, simboleggiando per gli Hour of 13 un surreale senso di salvezza rappresentato dall’assoluto simbolo della fine e dell’eterna dannazione.
(Luca Zakk) Voto: 9/10