(Autoproduzione) Anche se il folk/pagan metal è un genere decisamente inflazionato nel mercato odierno, fa sempre piacere scoprire qualche formazione che vi si dedica tenendosi lontana dai soliti cliché. Appartengono certamente a questa categoria gli esordienti danesi Huldre, che stemperando i toni e aumentando le dosi ‘naturalistiche’ del sound si tengono equidistanti dai due estremi di questo genere (il pagan/black da una parte e il folk da taverna dall’altra) e confezionano un disco difficile da approcciare ma molto intenso. Folk sincero da subito con “Hulvevinter”, nella linea di Otyg, Lumsk e compagnia pagan meno ‘arrabbiata’; la voce di Nanna Barslev ha il fascino della nebbia, del freddo, di immobili oceani scuri. “Skovpolska” è una ritmata marcia magica con il ritmo che a un tratto impazzisce nella dissonanza. I ritmi da allegra ballata su storie fantastiche di “Gennem Marksen” sono l’opposto di quelli più black di “Vaageblus”; si torna di nuovo ad atmosfere giocose in “Havgus” e “Spillemand”, quest’ultima in particolare è una allegra sviolinata alla Korpiklaani. Ipnotica “Knoglekvad”, un racconto intorno al fuoco che cresce in intensità e vigore con il passare dei secondi. E arriviamo così a “Skaersild” e soprattutto alla sua coda: se chiudete gli occhi, la foresta sarà per forza attorno a voi nella sua selvaggia maestà. Un platter dalle grandi potenzialità, che si presenta coperto di bruma (paradossalmente aumentata dall’enigmatico booklet e dalla incomprensibilità dei testi per tutti i non danesi), pronto a svelare con grazia e magia i segreti delle antiche leggende del nord.
(Renato de Filippis) Voto: 7,5/10